(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

domenica 2 maggio 2010

La Otto (parte prima)

Le scuole si sono appena riaperte e l’autobus è intrappolato nel traffico di via della Conciliazione. Si scorge in lontananza il cupolone di S. Pietro e dall’interno della vettura salgono al cielo invocazioni assai poco rispettose della Sacra Basilica. Basta, ho deciso. Da domani si cambia. Per tutta l’estate sono riuscito ad andare al lavoro prendendo soltanto due autobus. Da via di Ripetta scendo in piazza Sonnino, dove c’è un chiosco sul quale campeggia l’iscrizione “La grattachecca della sora Lella” (cosa che inizialmente mi lascia alquanto perplesso: solo a distanza di tempo ne scoprirò la funzione e il significato). Da lì, altra linea che mi porta fino alla Otto. Però con la riapertura delle scuole un percorso che dura di solito 50 minuti diventa un’avventura ai limiti del possibile. Dovrò servirmi della metro. Prima la Rossa, poi la Blu fino alla Piramide. Da lì, il 318 mi porta a destino. Si sa, gli spostamenti in una grande città richiedono impegno, pianificazione, inventiva… e spesso qualche botta di culo. Qui non siamo mica a Parigi! Sopravvivere al traffico della Capitale vaccina contro ogni avversità. Soltanto per Napoli può essere necessario un upgrade. Ricordo che una sera, uscito puntualmente dall'ufficio alle cinque, arrivai a casa verso le nove e mezza di sera. Non passai neppure dalla camera. Andai direttamente in trattoria, dove gli amici mi stavano aspettando per la cena, non senza qualche inizio di preoccupazione. In una interminabile attesa davanti al Palazzaccio (alias Ministero di Grazia e Giustizia) per ingannare il tempo riuscii perfino a comporre la parodia di un celebre successo degli anni Cinquanta, il cui testo è riportato in APPENDICE. Assieme ad altri quattro neocolleghi avevamo trovato delle camere in una pensioncina di via del Corso. Tra di noi c'era un ragazzo che, pur essendo più basso e più giovane dell'originale, somigliava in maniera sorprendente all'allora presidente del partito socialista, che aveva la sua sede proprio da quelle parti. Quando, dopo cena, ci concedevamo una passeggiata lungo via del Corso, arrivati all'altezza delle pattuglie di polizia che piantonavano l'ingresso della sede di partito, attiravamo immancabilmente gli sguardi increduli degli agenti di servizio. La Otto era l’agenzia della Banca in cui lavoravo da qualche mese. Via Ostiense, all’altezza della Garbatella, vicino ai Mercati Generali. Oltre i binari della linea metropolitana si scorge facilmente il Gazometro che avrei rivisto nei film di Ferzan Ozpetek. Zona Magliana, per intenderci, che non è proprio come dire Parioli o Monte Mario, per chi ha dimestichezza con la topografia capitolina. Una mattina, un cliente si avvicina al bancone e chiede di parlare con il direttore. Con tutta la deferenza del neoassunto busso delicatamente alla porta dell’ufficio di direzione e, una volta ottenuto di essere ammesso al cospetto del D., annuncio: “C’è un signore allo sportello che vorrebbe parlare con lei”. Il monumentale capo di quella che ai miei occhi si presentava come un’oliata macchina da guerra, si solleva puntando i pugni sulla scrivania e, dall’alto della sua imponenza, mi avverte: “Aho’, qua dde signore ce ne sta uno solo. Ed è morto in croce!” indicando il crocifisso appeso alle sue spalle. “Famme un po’ vede’ chi è ‘sto stronzo”. Ecco. (continua...)





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