(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

sabato 8 maggio 2010

La Otto (parte seconda)

Tanto per dare un’idea di cosa fosse quella pittoresca arca di Noè in cui ero finito a lavorare proverò a tracciare un sintetico profilo dei miei colleghi di allora. I Beati Paoli. Due colossi palestrati che penseresti più a loro agio fra i camalli del porto di Genova che non a uno sportello bancario alle prese con versamenti e assegni circolari. Paolo M. aveva un ghigno da pirata, la testa rasata, baffi da cavaliere teutonico, pizzetto biondo e lo sguardo perennemente incazzato che incuteva terrore al solo immaginarlo. Paolo C., invece, era molto più gioviale e rassicurante. Un pacioso cicciobello sorridente, ma altrettanto muscoloso e massiccio. Fra i due stava appollaiata sul suo trespolo da cassiere Mirellina, una Betty-Boop dalla chioma fulva che teneva le gambe accavallate come un diva d’altri tempi. Mirellina era la cocca del D. e quando aveva bisogno di un suo Dar Corso per completare un'operazione, zampettava sulle lastre di marmo del pavimento dall'alto del suo tacco dodici dispensando vezzosi cinguettii a quanti incontrava lungo il suo tragitto. Sia all'andata che al ritorno. Sempre fasciata in tailleurini dai raffinati colori pastello, trucco accentuato ma mai volgare, la voce un’ottava sopra, Mirellina fumava come una ciminiera e non aveva remore a investire con gli sbuffi delle sue sigarette il malcapitato avventore in attesa oltre il bancone di completare un versamento. Lillo-Mitraglia era il Vicecapufficio. Si esprimeva in una variante rurale di romanesco (mi par di ricordare che fosse originario di Frascati), sciorinando con incredibile rapidità fiumi di parole che ai più risultavano totalmente incomprensibili. Al termine di una sua dettagliata relazione a proposito di un argomento che sembrava averlo parecchio appassionato, perfino il D., che pure lo conosceva da un pezzo, dopo avere inutilmente cercato con lo sguardo il conforto di qualcuno di noi, dovette ammettere, sconsolato: “A Li’, nun c’ho capito un cazzo!”. Lillo era il solo abilitato a trattare le operazioni in valuta estera, avendo maturato una specifica competenza in materia. Era altresì l’unico che poteva sobbarcarsi il rischio di estinguere un certificato Superbanca, essendo stato iniziato ai misteri del calcolo modale già in giovane età (a distanza di mesi sarebbero comunque arrivate le immancabili rettifiche dell’eroico istituto, dato che i nostri calcoli degli interessi risultavano invariabilmente sbagliati). Per celebrarne le qualità professionali, da tutti riconosciute, quei burloni dei suoi colleghi avevano composto una canzoncina, sull'aria di un motivo piuttosto conosciuto, che veniva intonata dopo la chiusura pomeridiana degli sportelli, al fine di allietare le fasi di quadratura (che in epoca predigitale non erano proprio così agevoli come oggi risulta):

Un giorno disse Lillo alla vecchietta
il pane per l'inverno tu ce l'hai
e quello che t'avanza, in tutta fretta,
tu dallo a me: non te ne pentirai!
Io vendo Superbanca e CDV,
Generali, BOT e CCT.
Ti faccio guadagnare di sicuro
e quanno mori te la piji 'n der...
Fin che la barca vaaaaaaaaa!

(continua...)





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