(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

domenica 1 agosto 2010

Folkest, finalmente!




Giovedì sono rientrato a casa dalle mie ferie estive nelle Marche e oltre a un provvidenziale acquazzone che ha ripulito energicamente la mia Meriva di tutta la polvere accumulata nei mesi precedenti ho trovato le strade già piuttosto trafficate. Le notizie dei tiggì e i bollini rosso-neri attribuiti alle giornate del week end per chi avesse intenzione di mettersi in viaggio mi hanno poi oltremodo confortato sulla saggezza della mia decisione di rientro anticipato. Ma c'è anche un altro motivo che mi ha convinto a tornare prima. Ed è che finalmente, dopo alcuni anni che disertavo le serate finali di Folkest, rientrando anticipatamente ho potuto partecipare al gran finale della kermesse etno-folk, sempre fonte di piacevoli sorprese. Non sono stato deluso. Ieri sera, lasciando perdere il concerto in piazza Duomo che immaginavo frequentatissimo, m'incuriosiva assistere a un video show frutto di una ricerca condotta attraverso l'Italia e la sua musica tradizionale. Il progetto è di un giovane musicoviaggiante trevigiano che l'anno passato ha percorso con un camper qualche migliaio di chilometri e collezionato qualche multa, attraversando l'Italia da cima a fondo e raccogliendo testimonianze commoventi del valore socioculturale e finanche terapeutico della musica. Perfino sotto una tenda, a pochi giorni dal disastroso terremoto che in Abruzzo ha raso al suolo gli edifici e distrutto molte vite, basta una chitarra, un organetto, una fisarmonica, perché si scatenino danze indiavolate e qualche canzone allegra riesca a far dimenticare per poche ore il dolore. Ottimo lavoro. Per chi vuole saperne di più c'è abbondante messe di materiali in rete a questo indirizzo Il cammino della musica. Alla Torre Orientale, poi, altra entusiasmante sorpresa, con il calore scatenato di una band pugliese a cui sono stati richiesti plurimi bis con il placet (vorrei dire l'incitamento) dell'organizzazione. Il pubblico ha dato ampio riscontro e dimostrato ottimo gradimento. L'occhio esperto di Andrea Del Favero ha colto l'attimo e messo legna sul fuoco. Del resto, Folkest per me e per migliaia di altri affezionati spettatori, ha da sempre rappresentato un marchio di qualità e l'esperienza maturata in più di trent'anni di attività non può che migliorare ciò che già partiva con una marcia in più. In un anno di vacche magre con pesanti tagli ai finanziamenti concessi alle manifestazioni culturali leggo dalla presentazione del direttore artistico del festival: “se la necessità aguzza l'ingegno, possiamo tranquillamente affermare che in giro per il mondo c'è tanta musica di grande livello: basta saperla cercare, godere di buona reputazione internazionale e... non sempre la qualità costa cara!”. Parole sante, verificate in più occasioni. Certo, dall'affermare dei principi al metterli in pratica poi di strada ce ne corre. Folkest ha dimostrato ancora una volta di saperci fare e di meritarsi la fiducia delle moltitudini di appassionati che seguono da anni i suoi concerti. A me spiace soltanto di non aver potuto approfittare, ancora una volta, di tutte le belle serate che ho soltanto immaginato sfogliando il ricco programma del 2010. Spero di rimediare il prossimo anno.

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