e le note vengono aggiornate di quando in quando)
giovedì 3 febbraio 2011
Via Nizza 141
Via Nizza, 141. E' stato il mantra della mia infanzia. Mia madre lo ripeteva sistematicamente ogni volta che voleva riferirsi a quella che per lei era stata l'età dell'oro: il suo periodo torinese. Vissuto assieme a mio padre fra gli anni Cinquanta e Sessanta. A Torino io ci sono nato. Alle Molinette, per essere precisi, che è l'ospedale più vicino alla nostra casa di allora. Vicino al Lingotto. Che sa di FIAT, Fiera del libro e adunate oceaniche di megabanche in multicolor. In via Nizza 141 mia madre faceva la portinaia. Ci siamo tornati nel 1998, per l'ostensione della Sindone, che già avevo visto esattamente vent'anni prima, quando fummo ospiti di grandi amici e io subii una mortificante ma salutare lavata di capo da Giulia, che sarebbe morta alcuni mesi più tardi. Avevo 12 anni e l'arroganza offensiva di un magnate TV, la spocchia indisponente di un critico d'arte, un senso di onnipotenza frustrata. Durante i quindici giorni di quel nostro primo soggiorno piemontese gli amici ospiti ci accompagnarono al museo egizio, allo zoo comunale, al borgo medievale nel parco del Valentino, a Superga, a Stupinigi, a Maglione, dove avevano casa i genitori di Germano, il marito di Giulia. Dopo la strigliata educativa, che mi lasciò gli occhi umidi per la vergogna, alla sera Giulia m'insegnò qualche passo di tango e mi introdusse al fascino della musica andina. “El pueblo unido jamas serà vencido!” Così scandivano gli Inti Illimani, già costretti all'esilio dopo quell'altro 11 settembre in cui Salvador Allende perse la vita e il Cile diede l'addio alla libertà e al sogno di un mondo diverso. Germano e Giulia mi regalarono una penna Parker. Per me che già da allora provavo interesse per la scrittura, è stato uno dei doni più preziosi che abbia mai ricevuto. Appena scartato il pacchetto, Evita, la loro bimbetta bionda, una Shirley Temple tenera e tremenda, com'è sacrosanto per qualsiasi bambino di quell'età, non seppe resistere al desiderio di mettere subito alla prova il pregiato calamo. Afferrò la prima cosa che aveva a portata di mano e tracciò pochi rapidi scarabocchi. Ho sempre avuto, fin da bambino, un rispetto religioso per libri e riviste, che non amo nemmeno sottolineare. Di gualcirli o spiegazzarli non se ne parla. Quei pochi tratti di penna che Evita aveva segnato sul bordo di un mio albo a fumetti scatenarono la mia reazione fulminea. Le afferrai il polso con eccessiva determinazione per fermarla e le feci male. Ed ecco rovinata la poesia del momento, fra un imbarazzo diffuso. Ritrovai Evita qualche anno più tardi. Era il 1985 e con i miei genitori eravamo andati a Torino per ritirare quella che sarebbe stata la mia prima auto da neopatentato. Una FIAT UNO beige. “Cacchetta”, mi canzonarono qualche anno più tardi degli amabili colleghi di lavoro. Evita venne a salutarmi nel cortile del palazzo, dove stavo ammirando il nuovo acquisto con gli occhi fuori dalle orbite. Mi accolse con uno dei suoi irresistibili sorrisi e ci abbracciammo. Nel 1998 l'idea di tornare a Torino fu mia, per cercare di esorcizzare la recente morte di mio padre. Avevamo bisogno entrambi di suturare ferite profonde e laceranti e l'immersione in un ambiente carico di emozioni e ricordi intensi, il rivedere antichi amici lontani e allontanarci dal luogo fisico del dolore non avrebbe potuto farci che bene. La terza volta fu nel 2001. Verso i primi di settembre. Al ritorno dalla suggestiva visita al Museo del Cinema, alla Mole Antonelliana, una notizia che graverà in maniera significativa sul prosieguo della nostra vacanza appena iniziata. Anche in questa occasione eravamo ospitati in casa di amici. Dalle parti di Mirafiori (eh, sì, a Torino la presenza della FIAT incombe perfino nei riferimenti topografici). Uno dei loro figli appena uscito dal lavoro entrò in casa trafelato ingiungendoci di accendere la TV. Era l'undici settembre. Nei giorni seguenti, l'idea di frequentare musei non ci ispirava più molto, però con mia madre decidemmo di andare al 141 di via Nizza. Nella guardiola c'era ancora una portinaia, che venne ad informarsi su cosa mai stessero cercando gli sconosciuti che da un po' curiosavano nell'androne del palazzo. “Ah, ma è lei quella portinaia, allora!” esclamò la giovane omologa, con l'entusiasmo di chi può finalmente toccare con mano un mito che credeva esistesse soltanto nelle leggende condominiali. ”Sapesse! Qui si ricordano ancora tutti di lei! Se ci fosse ancora la vecchia portinaia, dicono. Eh, con la signora Gilda queste cose non succedevano, dicono. Altri tempi...” In effetti, sono passati più di trent'anni da quando, con i miei genitori abbiamo abbandonato la guardiola di via Nizza, 141. Quel mantra mia madre ora non lo recita più, ma lo spirito della portineria continua ad aleggiare fra noi.
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