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e le note vengono aggiornate di quando in quando)

lunedì 2 maggio 2011

E' stato morto un ragazzo

La storia di Federico Aldrovandi è una buona pagina dell'informazione italiana. Se si è arrivati al processo di primo grado e alla sentenza di condanna per omicidio colposo nei confronti di quattro agenti di polizia, nonostante la questura di Ferrara avesse tentato di archiviare la vicenda come un caso di fatale overdose, non è stato solo per l'addolorata tenacia della famiglia: il blog aperto dalla madre ha trovato sponda in qualche giornale e in una trasmissione televisiva (Chi l'ha visto?), che hanno rilanciato i dubbi e le contraddizioni, incrinando le prime ricostruzioni ufficiali. Tutto bene, dunque? Per nulla. La storia di Federico Aldrovandi è una pessima pagina dell'informazione italiana. Perché se guardiamo al comportamento complessivo del nostro giornalismo – e non a qualche consolante eccezione – questo ragazzo morto di botte ci racconta una verità sgradevole, non solo per gli uomini in divisa. Ricordo il mio stupore, i primi di luglio del 2009, quando lessi su un giornale che di lì a poche ore il processo di primo grado sarebbe arrivato a conclusione. Eppure, da lettore mediamente assiduo, non avevo visto nulla nella settimane precedenti. Una semplicissima ricerca di parole-chiave sulle principali agenzie di stampa, fatta subito dopo il verdetto, dava conferma numerica alle mie perplessità: negli ultimi 30 giorni (incluso quello della sentenza) “Aldrovandi” compariva in appena 6 lanci. Una miseria. Impossibile non fare confronti con l'attenzione riservata invece nello stesso periodo ad un altro fatto di cronaca: il processo di Perugia per il delitto Kercher, che pure era ben lontano dall'epilogo. Stessa ricerca in agenzia: nel mese precedente “Meredith” era citata in 156 notizie. Dei protagonisti della vicenda che ruota intorno alla povera studentessa inglese abbiamo seguito gli sviluppi minuto per minuto, indagando anche gli sguardi. Quando Amanda Knox, nel giorno di San Valentino, è comparsa in aula indossando una maglietta col titolo di una canzone dei Beatles All you need is love, i telegiornali sono letteralmente impazziti, e al pezzo di cronaca hanno fatto seguire un approfondimento con lo psicologo che spiegava i possibili significati di quel messaggio. Di Federico conosciamo a malapena la faccia. Come mai tanta disparità? Eppure, quello di Ferrara – dicono i pochissimi cronisti che l'hanno seguito – è stato un processo molto interessante, in cui le prove si sono formate in aula, durante il dibattimento. Eppure, la cronaca nera e la giudiziaria, sono un genere che “tira” molto, nel giornalismo attuale, al punto che l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha sollecitato e ottenuto un codice di autoregolamentazione sui processi in tv. Eppure in entrambi i casi c'è una giovane vita stroncata. Ma nella vicenda Aldrovandi c'è una cosa in più e una in meno. In più c'è il coinvolgimento di agenti di polizia. In teoria questo elemento avrebbe dovuto accrescere l'interesse per la storia, perché potenzialmente riguarda tutti noi il modo in cui alcuni intendono il ruolo di forze dell'ordine. In pratica può aver funzionato da freno, spingendoci all'autocensura: meglio lasciar perdere, la polizia fa un'azione solitamente meritoria a difesa della sicurezza, e poi è fonte importante e quotidiana di notizie. Ma c'è anche una cosa in meno: a Ferrara non c'è sesso, nella vicenda che ha portato alla morte di un ragazzo. Nessuna possibilità di “arricchire” il racconto con tracce di dna, reggiseni, ipotesi su triangoli e giochi erotici finiti in tragedia. Difficile scacciare il dubbio che sia questa, soprattutto, la ragione di un'attenzione tanto differente. Questo dubbio fa male, perché stride con la sacrosanta battaglia che di questi tempi l'informazione italiana sta sostenendo contro disegni normativi che limitino a un tempo indagini e diritto di cronaca. E' una battaglia che conduciamo in nome del diritto dei cittadini a conoscere vicende di interesse generale. Nel giornalismo che diciamo di volere, il metro decisivo dei fatti di cronaca è la loro rilevanza sociale, non il carattere “intrigante”, il potenziale morboso, la resa televisiva. Ma a questo ideale professionale non sempre sappiamo attenerci. Federico è lì a ricordarcelo.

Roberto Natale
Presidente FNSI


Dalla prefazione del libro. Bologna - 2010

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