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Per capire qualcosa della campagna elettorale che ha portato alla vittoria dei sì ai quattro referendum di domenica e lunedì basta entrare nella sede del Comitato per l'acqua pubblica, in una vecchia scuola del centro di Roma ora dismessa e occupata da diverse organizzazioni no profit. Tavolini su cavalletti, sei o sette computer, qualche telefono, una tv scassata e rigorosamente spenta. «E molto volontariato», spiega Luca Faenzi, un trentenne toscano responsabile della campagna di comunicazione. Trascurati dalle Tv e dai media tradizionali, troppo impegnati a dar voce ai politici professionisti i promotori dei referendum sull'acqua sono partiti per la loro battaglia un anno fa facendo qualche conto preliminare. I più recenti dati Audiweb e Doxa dicono che gli italiani che si collegano alla rete sono ormai circa 34 milioni, tra computer fissi, portatili e telefoni cellulari. L'aumento degli accessi è esponenziale anche se ancora si è ben lontani dalla saturazione della rete. Più di un terzo degli utenti internet ha un' età compresa tra i 25 e i 30 anni e un altro 34 per cento tra i 35 e i 54 anni. Quindi, senza alcuna possibilità di lanciare campagne televisive o tappezzare le città di manifesti, operazioni ben al di là dei mezzi economici del comitato, non c'era che tentare la carta internet. «Abbiamo puntato molto sui social network, in particolare Facebook e Twitter. Su Twitter abbiato toccato punte di ascolto da non credere. Abbiamo lanciato una sezione intitolata “Io ho votato” che domenica scorsa è stata la nona sezione di Twitter più cliccata del mondo», continua Faenzi. Oltre che sui social network la campagna elettorale è passata quasi tutta per un paio di siti web (Acquabenecomune e Referendumacqua) che, come la sponda di un biliardo, hanno smistato i lettori sulle iniziative locali, su manifestazioni e convegni, a Carate Brianza come a Sciacca. Piccole riunioni, proiezioni di film, magari anche in microscopici comuni di cinquecento abitanti. Una azione capillare, più e meglio degli antichi partiti organizzati. La rete e la mobilità dei seicento militanti sparsi in tutta Italia, tanti sono gli attivisti iscritti alla mailing list interna del movimento, hanno moltiplicato i contatti. Un'analisi anche superficiale della capacità di penetrazione di questo genere di campagna rivela dettagli che spiegano molte cose. Se per esempio si inseriscono i termini «acqua pubblica» nella mascherina di ricerca di Youtube, spuntano quasi cinquemila risultati, brevi filmati, molti dei quali realizzati con mezzi artigianali ma anche con grande creatività, spiegazioni e interviste a esperti della questione che hanno contribuito a spiegare e a rendere popolare la causa dell'acqua pubblica. La quantità di materiale di informazione immesso in rete dai referendari che gli elettori, soprattutto quelli più giovani, hanno potuto reperire, è strabiliante. E' difficile dire ora se il salto post televisivo nella comunicazione è stato compiuto anche in Italia (come lo è negli Stati Uniti dove Barack Obama, a colpi di internet finanziava tre anni fa con risultati strepitosi la sua campagna elettorale), e per molte settimane ancora sociologi e analisti si arrovelleranno per inquadrare il fenomeno di comunicazione diffusa e che è alla base del voto referendario e il modello di campagna elettorale. Di sicuro da oggi scatta la corsa dei partiti politici ad imitarlo, ammesso che ne siano capaci.
luigi.irdi@gmail.com
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