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Ero piccino quando andai ad Arzene la prima volta. Nel 1977 suonavo nella fisorchestra-spettacolo “Lo studente passa” del maestro Gino Sartor, di Azzano X. Una ventina di fisarmoniche, batteria, basso, chitarra elettrica, la tromba che suonava il silenzio fuori ordinanza, il clarino, Gianni, il cantante, a metà fra Julio Iglesias e Christian, con la cofana di ricci in testa. Nei fine settimana della stagione estiva le nostre famiglie erano precettate e ci si muoveva ognuno con la propria auto, i piccoli a suonare, i grandi a far festa. Quella volta che ci suggerirono di seguire il canarino di D'Artagnan, nessuno di noi intese che “il canarino” era un furgone giallo e “D'Artagnan” l'omone dai baffi sottili che lo guidava. Così, a un certo punto si perse la strada e arrivammo in ritardo sul palco.
Nei ricordi degli anni successivi, e fino ad oggi, quei tempi spensierati in cui si facevano tutte le sagre del circondario rimangono una sorta di età dell'oro. Avevo da poco iniziato a frequentare la scuola di musica. Il maestro Denis insisteva a volermi inserire in fisorchestra, però bisognava andare ogni sabato alle prove, ad Azzano, e mio padre non voleva saperne di accompagnarmi, quindi tergiversava. Quando altri due compagni di studi furono pronti per entrare nella banda il problema fu finalmente risolto, perché il padre di Romeo si offrì di accompagnarci tutti e tre ed ebbe inizio l'avventura. La nostra prima uscita fu a Fiume Veneto, per la festa degli alpini. Non avevamo nemmeno tutti gli spartiti dei brani in repertorio, così si faceva finta di suonare, tanto eravamo nelle retrovie, vicino al batterista, e con venti fisamoniche scatenate, se anche due o tre fan melina non se ne accorge nessuno. Io e Romeo ci divertivamo un mondo a commentare le evoluzioni delle coppie che ballavano in pista. Antonella era molto più seria di noi e suonava per davvero. Ad Arzene c'era “La sagra dai puls”, la sagra delle pulci. Chissà perché quando si è piccoli ogni viaggio, anche se si conclude a qualche chilometro da casa, pare trasformarsi in una spedizione avventurosa. Stasera, che sono andato ad ascoltare un concerto di musica klezmer nella piazza di fronte alla chiesa, sono arrivato in paese in quattro e quattr'otto traversando il guado sul Meduna. Certo, all'epoca sul letto del fiume scorreva ancora dell'acqua e quindi quella strada non si poteva percorrere. Bisognava per forza passare per la pontebbana e, senz'altro, il viaggio si allungava. Però rimangono pur sempre pochi chilometri. Invece a me quei viaggi parevano interminabili e avventurosi. Ogni volta, prima di partire, in casa regnava l'agitazione, con papà che scalpitava, la mamma che voleva sempre controllare un'ultima volta che il gas fosse chiuso, le luci spente, le porte serrate, l'attrezzatura da caricare in auto. Le indicazioni per raggiungere il luogo del concerto, poi, ogni volta erano abbastanza generiche. Si limitavano di solito al paese. Si va a Latisana, alla festa dell'Unità. Oppure a Lutrano, per la sagra paesana. O a Prata, per la Festa dell'amicizia. Quella volta che siamo andati a Belluno, invece, siamo partiti in corriera da Azzano, tutti insieme, e prima di partire ci siamo fatti anche alcune foto che ancora conservo. La nostra divisa era abbastanza semplice: pantaloni neri, camicia bianca, gilet nero con righe verticali di lustrini argentati. Ci si metteva anche un papillon nero, di quelli pret-a-porter, beninteso, che ad annodare un papillon autentico non ci sono mai riuscito. Si suonava il liscio romagnolo di Raoul Casadei, ma anche la musica latinoamericana che solo molti anni più tardi verrà riscoperta. E poi c'erano gli assoli. Il piccolo Gainluca che alla fisarmonica suonava il Battagliero, l'assolo di batteria, Gianni, che oltre a cantare suonava il clarino, e la tromba che commoveva tutti quanti. “Primavera baciata dal sole/c'è nell'aria un profumo di viole”. Così iniziava la strofa della sigla, Lo studente passa, una marcetta che apriva e chiudeva ogni nostro concerto. Mentre stavo seduto ad ascoltare gli echi esotici della musica yiddish della Zig Zag Orkestar, stasera mi è ritornato alle narici l'odore delle salsicce e della carne abbrustolita che, assieme alla polenta, rappresentavano una sorta di menu globalizzato
ante litteram, poiché li potevi trovare con matematica certezza in ogni sagra o festa paesana. E mi è tornato alla mente quel ragazzino felice che sapeva divertirsi con poco, infischiandosene di opportunismi e convenienze del tutto sconosciuti e incomprensibili.
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