CANTI POPOLARI DELLA TRADIZIONE RELIGIOSA IN UMBRIA
di Daniele Crotti
(…) L’Umbria è terra contadina, e “sappiamo tutti quanto contava l’agricoltura e l’insieme dei fattori, naturali e tecnici, che determinavano i buoni o i cattivi raccolti da cui dipendeva il sostentamento delle comunità umane. Ancor più possiamo immaginare cosa potesse essere... il timore e il rischio di non vedere ripetersi ogni anno il ‘miracolo primaverile’ del rinverdire della terra, promessa dei frutti dell’estate. Orbene, si può dire che gran parte delle ricorrenze annuali che tuttora noi celebriamo, più o meno modificate secondo i sovrapposti riti cattolici – dal Natale al Capodanno, dal Carnevale alla Pasqua, ecc. – hanno radice nel complesso intreccio di rituali di vegetazione, rivolti a superare e vincere quel rischio. Attraverso i millenni quei rituali si sono definiti, arricchiti, complicati, di rappresentazioni sacre, di balli e di canti, che sono poi un pilone centrale del patrimonio folklorico di base comune a tutta l’umanità ...” .
I canti popolari di impronta religiosa
La cultura popolare non conosce il concetto di arte fine a se stessa, né quello di funzione estetica autonoma, poiché ogni prodotto artistico ha una funzione principalmente pratica. Così anche il canto popolare ha finalità pratiche ben definite e la sua esistenza è sempre legata alla funzione sociale, che esso esplica all’interno della collettività. I canti della tradizione religiosa sono scomponibili in due gruppi : i canti rituali e/o di questua” e “i canti liturgici/paraliturgici”.
I canti rituali e/o di questua sono connessi con lo svolgimento dell’anno agricolo (sono canti di tradizione contadina, ricordiamocene); essi coincidono con date precise del calendario popolare, per il quale alcune feste di carattere religioso assumono grande rilievo. Non si scordi che il calendario popolare è un lunario agricolo e lungo questo si colloca la scansione dei momenti rituali tradizionali della civiltà contadina. I canti coincidono così con alcune date precise del calendario: essenzialmente il ciclo delle feste del solstizio invernale e quelle primaverili. Legati intrinsecamente al ciclo della natura che nasce, muore e rinasce, gli eventi rituali (c’è magia e concretezza al medesimo tempo), e quindi i canti, di questo mondo popolare sintetizzano lo stesso ciclo vitale dell’uomo. Io mi limito ad analizzare brevemente questo primo gruppo di canti legati alla tradizione religiosa (più che religiosi veri e propri), seppure è indubbio come in molti di essi la carica spirituale è sentita ed è forte, reale, sincera quasi. Tanto è vero che il canto religioso popolare può essere letto come una composizione che si recita per ricordare, sia pur sulla base di quanto detto, le feste del calendario liturgico: la dolcezza e l’intimità del Natale, la tristezza e la drammaticità della Passione, la gioia della Resurrezione, e così via, sino al cantamaggio, sino ai canti delle feste d’estate.
Le Pasquelle o Pasquarelle
(...) “tra le varie espressioni musicali della tradizione orale umbra la Pasquarella [o Pasquella] è probabilmente quella più radicata e quella ancor oggi più praticata”. Si chiama così perché “questa la prima Pasqua l’è dell’anno/questa si chiama Pasqua Epifania”.Insomma il termine Pasquella o Pasquarella, così come quello di Pasquetta (di fatto in disuso) sta ad indicare “la prima e più piccola festa religiosa dell’anno”, cui seguirà la Pasqua di Resurrezione e la Pasqua di Pentecoste.La Pasquella (io la chiamerò Pasquella o Pasquarella) è dunque un canto di questua portato casa per casa la sera del 5 gennaio, ma anche alla vigilia di capodanno, nei giorni precedenti l’Epifania e nel giorno stesso della befana. E’ costituito da un coro misto di uomini, donne e bambini accompagnati solitamente da organetto (anche più d’uno), triangolo/cembalo, tamburello (ma oggi può essere
proposta anche la chitarra, la fisarmonica, la zampogna, o altri strumenti musicali). Le Pasquelle si cantano per tutto il paese (e anche nelle campagne) e si chiede in cambio offerte e doni in natura che serviranno per il pranzo destinato a concludere la festa medesima. Vi sono non poche varietà di melodie e testi delle Pasquelle, e ciascuna versione locale viene spesso rivendicata dai singoli
cantori come “l’unica vera Pasquella tradizionale”. Chissà! Le origini della Pasquella vanno individuate nella serie di rituali, credenze, festività che si sono
succedute nel corso dei secoli e che hanno accomunato, come detto, i cicli della vita con i cicli agricoli. Già il Natale riprende la celebrazione della rinascita del Sole, dopo i giorni bui precedenti e appena successivi al solstizio invernale. Per quanto riguarda la Pasquella e per essere conciso il più possibile, rammento che nel periodo precristiano la ricorrenza del 6 gennaio, come momento di chiusura dei dodici giorni di passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo, vedeva la necessità di
propiziarsi l’anno nascente con rituali adeguati. La Chiesa per cancellare i riti preesistenti ha sostituito tale ricorrenza con il rito propiziatorio dell’Epifania, ovvero l’annunciazione della nascita di Gesù. Ma evidentemente, e meno male (dico io), “arcaici elementi sopravvivono in maniera sincretica con i nuovi”.
I canti della Passione
Nella Settimana Santa che si conclude con la Pasqua di Resurrezione si cantano i canti della Passione (o canti della passione di Cristo, o i/le Cantapassioni). Sono anche questi canti rituali; infatti nella settimana prima della domenica di Pasqua i questuanti con organetto e triangolo (questo originariamente) fanno nel corso dei pomeriggi il giro delle case e, invitati ad entrare entro casa, seduti, mentre i presenti restano solitamente in piedi, cantano e suonano “la passion de Cristo”.
“Osservando il vasto panorama dei canti di questua che il mondo contadino si è creato e cantato, colpisce come la gente di campagna abbia saputo esprimere i temi della Passione ... quasi fossero una liturgia a sostegno del corpo e dello spirito da celebrare sull’altare della natura. La terra, ..., alimentava la comunione del pane e del vino, accoglieva il bisogno di solidarietà e custodiva nei suoi silenzi le segrete invocazioni d’aiuto. Su quella terra, madre e nutrice, espressione del miracolo della creazione, testimone dalla nascita alla morte di tante croci da portare e da sopportare, fu naturale inginocchiare il corpo durante la Quaresima, farsi il segno della croce, ascoltare e rivivere le note del martirio di Gesù, mentre le galline beccavano per le aie e il respiro del cielo si confondeva con quello delle persone. Quei canti si legavano ai riti della terra, invocavano aiuto per sé e protezione per il frutto delle fatiche. ... Dava sicurezza sapere che la Corte dei Santi, guidati da una donna semplice e invincibile, la madre di Cristo, tramite tra la terra e il cielo, era lì a proteggere i deboli e gli indifesi, a sanare gli strappi della violenza, a rasserenare e a confortare. ...E Gesù, il
buon Gesù, anche lui un po’ contadino, era con loro e arava le terre aride dello spirito per lasciarvi cadere un seme che, se bene coltivato, sapeva dare buoni frutti”. Ecco quanto scrive L. Gambacurta nel suo recente libro sui canti della Passione di Cristo nei territori dei comuni dell’Umbria. Le squadre di Cantapassione erano solitamente formate da suonatori e cantori della frazione di appartenenza. Tuttavia, l’affiatamento, l’amicizia e la necessità del momento concorsero non poco
alla formazione delle squadre con l’inserimento di elementi provenienti da altri centri frazionali e anche da altri comuni. Da qui scambi culturali, diffusione dei canti, memorizzazione dei testi. E così, speriamo, continui o possa rinascere, sia pur in forma e modelli nuovi, tale contesto etnomusicale.
Ma ecco alcuni “titoli”: “Bovi bovi” (frutto di diverse contaminazioni, tra orazioni e frammenti di passione, il canto serviva anche come efficace ninna nanna; così mi ha ricordato pure l’amico Paolo Bartoli, originario del folignate), “Ecco ch’è giunta l’ora”, “La passione delle ore” (detta anche “La passione delle 24 ore” o “L’orologio della Passione”; che narra ora dopo ora la sofferenza del Cristo), “Dua vè matre Maria” (forse uno dei pochi canti perugini; la tradizione popolare è solitamente disseminata nelle campagne e nei paesi di campagna, un po’ ovunque lungo tutte le valli umbre), “Già condannato il figlio” (si è commossi e quasi affianchiamo emotivamente l’afflitta madre nel suo doloroso andare alla ricerca sempre più consapevole del martirio patito dal figlio), “Sotto la croce...Mmaria” (rappresenta Maria come l’ha sempre vista e cantata il popolo: non la Madonna, regina coeli, ma una madre terrena, tenera, spaesata e angosciata), “Morte di Gesù”, “Il fegatello” (questo è un esempio di “passione narrativa”: un utilizzo particolare della struttura musicale della passione può essere quella di interpolarvi contenuti verbali incongrui che narrano, a volte, storie di sangue o di delitti con toni molto coloriti), “Le grazie a migliaia”.
Nessun commento:
Posta un commento
se sei un utente anonimo, ricorda di aggiungere in calce il tuo nome ;-)