(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

lunedì 27 maggio 2013

La bustina di... riserva.


A Giannino Cadin questo mio "pezzullo" forse non sarebbe dispiaciuto. Non tanto per la forma (il mio è soltanto un pallido tentativo d'imitazione), ma almeno per il contenuto. Originariamente, il testo fungeva da introduzione a un dossier in cui si esponevano i pregi della lentezza e le conseguenze dell'andar di corsa. Risale all'A.D. MM (duemila, tondo, tondo), epoca in cui realizzai il mio primo sito web. L'episodio che vi viene descritto, invece, si svolse nel 1988. Il titolo fa riferimento alla celebre rubrica che Umberto Eco tiene da decenni su un noto settimanale, fonte per me di ispirazione e ammaestramento, oltre che di godibilissimo sollazzo.

domenica 26 maggio 2013

Se soltanto ci sforzassimo di comprendere...

Serata densa di emozioni, quella che si è svolta lunedì, 20 maggio 2013, in Biblioteca a Pordenone. Giacomo Deperu e i suoi ospiti parlavano di famiglie omogenitoriali, presentando i manifesti della campagna antiomofobia che anche quest'anno già tanto hanno fatto discutere. Spesso a sproposito. I due protagonisti, Stefano e Yvette, ritratti nei manifesti assieme ai rispettivi figli, erano in sala per testimoniare come la vita reale, quella di tutti i giorni, sfugga sovente agli schemi preordinati e alle gabbie ideologiche costruite dagli uomini, per seguire sentieri magari imprevedibili, lungo percorsi con cui siamo chiamati a confrontarci. Le due storie di vita vera che stanno dietro a quei manifesti hanno una carica di umanità capace di scuotere anche gli animi più aridi. E varrebbe la pena conoscerle, prima di lanciarsi in polemiche fondate sull'equivoco.

sabato 25 maggio 2013

La zia Maria e l'esegesi del Kaddish.

Nel friulano di Claut, area di origine della mia famiglia, il piccolo arcolaio a pedale presente nella maggior parte delle case contadine fino a una cinquantina d'anni fa cambia genere e diventa la corleta. Stessa sorte tocca al tavolo da pranzo, che i miei genitori han sempre chiamato la tàula. Nella cucina-laboratorio della zia Maria a un angolo della tàula era stabilmente fissato con un morsetto una sorta di arcolaio a manovella, che serviva ad avvolgere su piccoli rocchetti di legno la lana acquistata in gomitoli o matasse. Questi birilli, una volta rivestiti della necessaria quantità di filato, venivano infissi a una delle macchine per maglieria presenti nel laboratorio. Poi era tutta questione di olio di gomito e sapienza artigiana: la macchina risucchiava i fili multicolore e rilasciava lentamente da sotto le singole parti da assemblare per ottenere una maglia soffice e calda: maniche, schiena, fianchi. Fin da piccolo, quella manovella era per me una magica attrazione. Ogni volta, quando andavo a trovare la zia, dopo i saluti e gli abbracci non sapevo resistere dal far compiere qualche giro veloce alla ruota. Divenne in breve un rito a cui non mi sono saputo sottrarre nemmeno una volta cresciuto.