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A Giannino Cadin questo mio "pezzullo" forse non sarebbe dispiaciuto. Non tanto per la forma (il mio è soltanto un pallido tentativo d'imitazione), ma almeno per il contenuto. Originariamente, il testo fungeva da introduzione a un dossier in cui si esponevano i pregi della lentezza e le conseguenze dell'andar di corsa. Risale all'A.D. MM (duemila, tondo, tondo), epoca in cui realizzai il mio primo sito web. L'episodio che vi viene descritto, invece, si svolse nel 1988. Il titolo fa riferimento alla celebre rubrica che Umberto Eco tiene da decenni su un noto settimanale, fonte per me di ispirazione e ammaestramento, oltre che di godibilissimo sollazzo.
A questi maestri di scrittura e d'ironia si tributino i meritati riconoscimenti.
Quando iniziai a lavorare in banca, fui inviato a Genova per un corso riservato ai neo-assunti. Dividevo allora un appartamento con due neo-colleghi a Nervi, località incantevole, ma che dal punto di vista logistico si rivelò per noi ben presto alquanto scomoda: per arrivare in piazza Banchi, in città, ogni mattina dovevamo sorbirci tre quarti d'ora di autobus (praticamente da un capolinea all'altro), e altrettanti alla sera, in senso contrario, per ritornare a casa. Dovendo inoltre condividere fra noi tre l'unico bagno dell'appartamento, è facile immaginare che il tempo da dedicare alla colazione rimaneva ridotto ai minimi termini. Recalcitrante all'idea di rinunciare alla mia rituale mattutina tazza di tè con i biscotti, avevo escogitato una soluzione, per così dire, "industriale": il tè precotto. O, almeno, così i miei salaci coinquilini, che non disdegnavano occasionalmente di attingere alla mia prelibata riserva, battezzarono fin da subito la pratica bevanda che presi l'abitudine di prepararmi. Incurante dei commenti ironici che l'operazione suscitava nel nostro rivierasco pied-à-terre, la domenica sera facevo bollire in una pentola un paio di litri d'acqua al fine di ottenere tè sufficiente per le colazioni della successiva settimana. Il tè, precotto, imbottigliato già zuccherato e conservato in frigorifero, al mattino abbisognava soltanto di un rapido passaggio sulla fiamma per essere consumato, e questo mi garantiva allo stesso tempo considerevoli economie di quei minuti già tanto scarsi e soddisfacenti colazioni casalinghe. Il tutto proseguì per alcune settimane, fino a quando, in seguito a un cambio della guardia, nell'appartamento arrivò Salvatore da Bologna, il quale mi spinse con insistenti pressioni a introdurre una significativa modifica alla ormai collaudata procedura. Sosteneva infatti l'aspirante leguleio che quell'unica bustina di tè che io usavo mantenere in infusione prolissa nell'acqua della capace marmitta non fosse sufficiente a ottenere alcunché di bevibile, allegando alle proprie osservazioni infondati sospetti di una mia presunta taccagneria, quale causa di tanto prudente dosaggio. Trascorse alquante verbali tenzoni coll'emilian guascone mi risolsi infine a ritornare sui miei passi e ad usare più bustine per volta.
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