e le note vengono aggiornate di quando in quando)
domenica 15 settembre 2013
Appunti piceni - fine prima parte
Nel mio turistico girovagare per la città l'ho già incontrato tre o quattro volte. Il sosia di Max Giusti fa la guida turistica e accompagna torme di pensionati in gita sociale illustrando loro le bellezze locali con un mini amplificatore che porta a tracolla. L'avevo sentito dire che la pinacoteca civica cittadina in regione è seconda soltanto alla Galleria Nazionale di Urbino e mi era parsa una banfata (come si usava dire alla SMALP). Visto che ho già in mano il biglietto cumulativo che mi consente l'accesso alle tre strutture espositive comunali, decido comunque di toccare con mano. E rimango sbalordito fin da subito. La Sala della Vittoria è di proporzioni gigantesche. Quel che mi turba è vedere un monumento equestre a Vittorio Emanuele II che pare in bronzo, montato sul suo piedistallo. Per salire quassù mi son fatto due rampe di scale. Pensare a come possano averlo issato fin qui nei primi del Novecento m'incuriosisce. Ancor di più m'inquieta capire come il pavimento possa reggerne il peso. La pagina informativa posta all'ingresso della sala chiarisce l'equivoco. Si tratta di un bozzetto (a grandezza naturale) in gesso dipinto, realizzato per il concorso che fu bandito all'epoca in cui si allestì il Vittoriano, a Roma. L'opera non passò la selezione e il bozzetto venne donato al Comune. Il Cadore si ripresenta nelle vesti di Tiziano, di cui la pinacoteca ha due tele in prestito. Le sale sono arredate con i mobili lasciati in dono dalla famiglia Sgariglia (quella del palazzo in project financing) e hanno tappezzerie di lusso ben curate. Le opere del Quattro e Cinquecento hanno il consueto superbo fascino a cui le terre umbre e marchigiane ci hanno abituato. Il sosia non esagerava. Passo la mattinata in ricognizione esterna. Ho deciso di arrivare fino al ponte di Cecco e ne è valsa la pena. Il dislivello fra il corso del Castellano, che va a unirsi al fiume Tronto lambendo con esso i confini urbici, e il piano stradale è notevole. Così come la perizia degli uomini che fecero l'impresa. A Borgo Solestà c'è un ponte romano del primo secolo, ancora funzionale a scavalcare il fiume che scorre parecchio più in basso. Durante alcuni lavori di consolidamento portati a termine negli anni '30 del Novecento vi si ricavò un passaggio interno che dovrebbe essere visitabile, ma non riesco a trovarne l'ingresso. Analoga disavventura è capitata ad altri ospiti del b&b, apprenderò durante l'ultima colazione ascolana e la mamma di Giulia (che alla domenica si concede evidentemente un po' di libera uscita) conferma che è necessario telefonare al custode per farsi aprire l'anonima porticina che conduce nelle viscere dell'antico manufatto. Ne approfitto per fotografare un bel lavatoio con tanto di avviso d'epoca. Di arrivare alla chiesa di S. Elpidio alle Grotte non se ne parla; ho già scarpinato a sufficienza. Ci sarebbe da fare il giro delle chiese romaniche, numerose e affascinanti, aperte di sabato pomeriggio, ma con il solito orario elastico, così rinuncio. Il mercato dell'antiquariato, che invade il centro storico in questo fine settimana, aveva suscitato grandi aspettative che rimangono deluse. Pazienza, il soggiorno ascolano si deve concludere. A Fermo altri piceni mi aspettano.
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