(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

venerdì 13 settembre 2013

Appunti piceni - secondo giorno


S.P.Q.A. È la sigla inscritta in un cartiglio sulla facciata di un palazzo di piazza del Popolo. Senatus Populusque Asculum. Tanto per rimarcare le differenze. Nel museo archeologico di Ascoli sono conservate circa cinquemila ghiande missili, proiettili di piombo con iscrizioni spesso offensive rivolte agli avversari, che testimoniano la resistenza picena alla romanizzazione del territorio. Eppure, con la conquista gli occupanti hanno portato sin qui anche la loro tipica indolenza. L'orario di apertura dell'ufficio turistico di piazza Arringo è 9,00-13,30. Così sta scritto in bella evidenza sul cartello che ne indica l'ingresso. Ma alle 9,30 la porta è ostinatamente serrata. Verso le 9,40, con calma, l'uscio finalmente si dischiude e svela la presenza di ben tre addetti, ben poco indaffarati. In attesa della pioggia pomeridiana, impiego il mattino per un giro esplorativo del centro storico, davvero intrigante. Già ieri sera, dopo cena, mi ero spinto fino a piazza del Popolo, davvero una delle più belle d'Italia, specie di notte, con la magia delle luci, le lastre di pietra della pavimentazione che pare abbiano appena dato la cera e i capannelli di persone che chiacchierano, le coppiette che sorseggiano una bibita sedute ai tavolini dei bar, le famigliole che passeggiano con piccole pesti al seguito, giovani e anziani, tutti in piazza. Gli interni li lascio per i momenti più umidi, che non mancheranno. Nel mio girovagare scorgo una Gelateria Veneta - dal 1923. La matura signorina che sta al banco mi spiega che la sua famiglia è arrivata qui da Zoppè di Cadore, la città, sì, è bella, ma gli abitanti... Le dà man forte una bionda canadese che si dice discendente dai re di Francia, moglie di un affermato cantante lirico che in vita pare non abbia goduto di molto favore locale. E per questo lei ora gli renderà giustizia con un libro di cui mostra le bozze. “Meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta”, mi erudiscono in coro le impietose signore.

Nel pomeriggio arriva puntuale una fastidiosa pioggerella. Dopo aver dedicato un congruo spazio al riposo e alla scrittura nel salottino del b&b si va ai musei della Cartiera Papale. “Tutta l'acqua del mondo” è il titolo della mostra permanente allestita in una porzione dell'edificio dalla SISSA di Trieste. Mostra didattica, prevalentemente rivolta alle giovani generazioni, ma ricca di utili informazioni e spunti di riflessione per tutti. Il depliant del museo ha grafica accattivante e testo sufficientemente curato. Se si fossero ricordati di inserire orari di apertura e costo del biglietto, la funzione informativa del documento sarebbe salvaguardata. Ma viviamo, ahimè, nell'epoca distratta e superficiale dell'immagine. I contenuti interessan poco. Eppure la Cartiera Papale è uno scrigno di meraviglie. Per quattro euro ottengo una visita guidata di cui sono l'unico beneficiario, che mi porterà ad esplorare ogni angolo dell'antico opificio. Nel corso di un'ora e mezza si vedono le vasche di raccolta delle acque del vicino torrente Castellano e le condotte forzate che le fanno arrivare fino alle turbine orizzontali che azionavano cinque grandi macine di pietra (quasi come alla Centrale di Malnisio). Qui gli ascolani han portato nel corso dei secoli le loro granaglie per ottenerne farina. Dalle turbine l'acqua proseguiva fino al locale della follatura, dove grandi ruote solidali con lunghi alberi a camme azionavano i pesanti magli di legno che maceravano gli stracci nelle pile di travertino. Proprio come i battiferro di Maniago. Anche le turbine, coi loro grandi cucchiai, erano in legno. Se ne può vedere una riproduzione. E a me viene da sorridere, pensando a quel mio cliente nella cui fabbrica le moderne alette per turbine vengono oggi “stampate” nell'acciaio da magli di 25 tonnellate che fanno vibrare il terreno. Trovo anche il tempo per spettegolare un po' con la mia accompagnatrice. In centro storico, dico, ho notato parecchi palazzi, della cui sontuosità sono ormai rimaste soltanto flebili tracce: stanno praticamente cadendo a pezzi. Ne ho visto uno, però, in corso di restauro e sono stato attirato dal cartello di cantiere, dove sotto la committenza pubblica stanno i loghi di due fondi immobiliari. Evidentemente si tratta di project financing (con la vicenda del nuovo ospedale, Comina sì, Comina no, ormai i pordenonesi hanno imparato a familiarizzare anche con questa terminologia da finanza esoterica). E' intuibile che il Comune non abbia le risorse necessarie per un restauro così impegnativo. Resta da capire che guadagno ne traggano gli investitori privati. Mi si dice che l'intenzione sarebbe di ricavare appartamenti da locare a canone agevolato per favorire le giovani coppie. Intento lodevole e coerente con le funzioni dell'ente pubblico, ma che i fondi facciano beneficenza, questa poi... Bisognerebbe approfondire.

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