e le note vengono aggiornate di quando in quando)
venerdì 22 novembre 2013
Fumetti
Tutto ebbe inizio con “L'uomo ombra”. Poteva essere la metà degli anni '70 (e ormai diventa necessario precisare “del secolo scorso”, facendo affiorare in questo modo una patina di antica cianfrusaglia). Mia madre acquistò all'edicola dell'ospedale il numero 40 degli albi del Comandante Mark, dando la stura a un'epopea di collezionismo, baratti e compravendite che si sarebbe protratta negli anni a seguire. Fino a quel momento le mie letture a fumetti erano rimaste confinate a quanto di più adeguato a un fanciullo inconsapevole: Topolino, in prevalenza. Divorai quelle pagine avidamente, facendo conoscenza con Betty, Gufo Triste e Mister Bluff (pronunciato con la “u”, dato che all'epoca l'inglese mi era del tutto sconosciuto). Senza dimenticare Flok, il ringhioso sacco di pulci (come affettuosamente veniva definito da Gufo Triste), un buffo cagnetto di origini incerte, tutto pelle e ossa, inguaribilmente affamato. Fin dall'inizio non mi fu ben chiaro il motivo per cui dei militari dell'esercito inglese, con quei loro curiosi copricapi, si trovassero in Ontario, dov'erano ambientate le storie narrate dalle strisce. Arrivato rapidamente all'ultima pagina, ingiunsi a mia madre di procurarsi il numero successivo. E così per i mesi a venire. La passione per vicende e disegni decisamente più “da grandi” rispetto a Topolino divampò presto, facendomi lanciare alla scoperta di un mondo che si rivelava sempre più affascinante. Il Grande Blek, Zagor, Capitan Miki, Akim, Mister No. E poi Diabolik, Supereroica, Alan Ford, Maxmagnus, Monello e Intrepido, passando per qualche anno di abbonamento al Giornalino, che mi fece incontrare i Galli maneschi di Goscinny et Uderzo. Una volta superata la travolgente fase adolescenziale, il mai sopito interesse per la bande dessinée mi fece veleggiare verso le proposte di Comic Art e L'Eternauta, le donnine di Milo Manara, il tratto raffinato di Magnus, le avventure di Corto Maltese e l'erotismo di Crepax, fino alla fugace esperienza di Comix e la riscoperta di Jacovitti, che ebbi la fortuna di ammirare nientepopodimenoché sulle pagine del Vittorioso. Un cugino di mio padre aveva ricevuto in custodia dal di lui genero una raccolta della storica rivista, rilegata in quattro enormi volumi. Ebbi il privilegio di potermeli portare a casa, uno alla volta, dietro mille raccomandazioni. E mi ci tuffai. In tutto questo turbinio di personaggi, storie e ambientazioni, però, le cure più amorose le ho sempre dedicate alla mia collezione di Tex. Per qualche motivo fu Aquila della notte, assieme ai suoi pards, a conquistare l'attenzione del ragazzino curioso e onnivoro qual ero. Sulle pagine di Tex imparai le prime parole in spagnolo (Adiòs! Hasta la vista! Maldido hijo de perro!), familiarizzando con i pueblos, l'alcalde, la mesa. Le bistecche alte tre dita con una montagna di patatine fritte hanno accompagnato i miei sogni di ragazzo. Almeno all'inizio, per me Tiger Jack è sempre stato “tiger” e anche Willer veniva pronunciato con la “v”. Assieme a un mio compagno di scuola e di scorribande (frequentavamo le elementari) ci risolvemmo a mettere a frutto la comune passione entrando nel business della vendita di fumetti usati. Ciascuno di noi selezionò dal proprio giacimento una quota di giornalini da sacrificare. Del tutto privi di pudore, procurato un certo numero di cassette da fruttivendolo, occupammo un tratto di marciapiede sulla principale arteria che attraversa Cordenons collegandola con il capoluogo in doppio turno giornaliero, mattina e pomeriggio. Le prime due settimane dopo la fine delle lezioni furono così impiegate, quell'anno e per i successivi cinque, cambiando soltanto la foggia delle cassette, il ventaglio di titoli offerti e il lato della strada su cui allestivamo la nostra improvvisata bancarella, a seconda di come si spostava l'ombra. I risultati commerciali non tardarono ad arrivare, facendoci soprattutto guadagnare la simpatia di alcuni clienti che divennero ben presto abituali. Rimane memorabile l'anziana signora che un giorno sì e un giorno no si informava se per caso avessimo anche Grand Hotel (un periodico all'epoca assai in voga che conteneva fotoromanzi... antichità). Era un genere che non trattavamo e toccava deluderla a ripetizione. Gli incassi venivano conservati in un barattolo di caffè, rinnovato a ogni inizio stagione, sul cui coperchio era stata praticata una fessura, a mo' di salvadanaio, tale da consentire di introdurre le monete (raramente, qualche banconota). Inutile dire che il nostro interesse per i guadagni realizzati era piuttosto scarso. Grande godimento, viceversa, si traeva dalle giornate trascorse sulla strada, in attesa di clienti, leggendo ciascuno i fumetti dell'altro. Al termine della quindicina, poi, la spartizione delle rimanenze si trasformava in un mastodontico scambio, perché, ovviamente, ciascuno ambiva a ottenere i giornalini altrui. Per ingannare la noia, che durante la giornata inevitabilmente sopraggiungeva, Giorgio amava importunare gli automobilisti di passaggio, indirizzando loro versacci e gesti poco eleganti. Finché, uno di questi si fermò, scese dall'auto e lo rincorse a perdifiato minacciando sanguinosi castighi, senza però riuscire a raggiungerlo. Salutavamo i camionisti, che rispondevano col clacson, ci eravamo arruffianati il vigile urbano con i baffi a manubrio che si spostava in bicicletta e si fermava da noi di tanto in tanto a informarsi se andava tutto bene. Si ricevevano volentieri le visite delle nostre compagne di classe, anche loro in vacanza, sottoposti al quotidiano controllo della mamma di Giorgio, premurosa e guardinga. Crescendo, si perse naturalmente l'abitudine di ritrovarsi per il nostro annuale appuntamento mercantile, ma il ricordo delle emozioni vissute rimane saldo come sono le esperienze importanti.
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