(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

venerdì 13 dicembre 2013

Il cambio della guardia

Nel periodo in cui mi trovavo alla Scuola Militare Alpina, ad Aosta, ho sempre ringraziato il mio Angelo Custode per avermi evitato l’incarico di Comandante della Guardia. Alla Scuola, gli allievi si alternavano in una serie di servizi che, in quelle circostanze, trovavano uno svolgimento del tutto particolare e ben diverso da quanto succedeva ai reparti; vi si incontravano anche figure sui generis, prive di riscontro all’esterno, come il “Sottopicchetto”, che era una sorta di attendente dell’Ufficiale di Picchetto. L’unico ruolo di coordinamento che mi venne assegnato durante il corso AUC fu quello di Comandante del P.A.O. (Picchetto Armato Ordinario), che, al di là della bellicosa denominazione, era composto da un certo numero di allievi-custodi, di cui era necessario gestire la corretta turnazione (piantone allo spaccio, piantone alla palestra, piantone al posto telefonico…). Il Comandante della Guardia, viceversa, riuniva su di sé diverse incombenze, che ne rendevano particolarmente gravoso il compito. Durante la quotidiana cerimonia dell’alza-bandiera mattutino, ad esempio, era suo il delicato compito di elevare il drappo. E non si pensi che l’incombenza fosse tanto banale. Il rigido protocollo Smalpino prevedeva infatti che l'ascesa del vessillo durasse esattamente quanto l’esecuzione del patrio inno, che gli altoparlanti diffondevano contestualmente sul piazzale, in maniera tale che la cima dell’asta fosse raggiunta proprio in corrispondenza dell’ultima nota. Il tutto era reso ancora più difficile dal fatto che il malcapitato allievo doveva tenere lo sguardo marzialmente fisso in avanti, senza quindi poter monitorare il procedere della risalita. A ciò si aggiungano imprevedibili e occasionali intoppi, che potevano drammaticamente pregiudicare il buon fine dell’operazione. Tipo quel giorno che evidentemente la bandiera non era stata ben fissata alla cordicella che ne doveva guidare il tragitto lungo il pennone e, arrivata a metà corsa, si sciolse planando sulla giovane vittima sacrificale fino a divenirne il tragico sudario. Non ricordo le conseguenze che ebbe l’episodio per lo sfortunato compagno di corso, ma di certo saranno state all’altezza del sacrilegio compiuto. La cerimonia del cambio della guardia era altra fonte di pericolo per i due comandanti designati (lo smontante e il suo sostituto, in procinto di prenderne le consegne). In confronto allo spettacolo che tanto attira i turisti in visita a Londra, la nostra cerimonia presentava alcune differenze. La scenografia, prima di tutto: non avevamo un Buckingham Palace sullo sfondo, ma un più modesto murale che raffigurava i monti valdostani; le nostre tute da lavoro verdi non potevano eguagliare di certo le purpuree livree dei granatieri di Sua Maestà e, d'altra parte, i loro torreggianti colbacchi in pelo d'orso non hanno proprio niente a che vedere con l'eleganza di un cappello alpino. Altra differenza stava nell'orario della messa in scena: mentre a Londra il sipario si alza alle 11 antimeridiane, ad Aosta lo spettacolo era serale. La complessità dell'operazione valdostana, tuttavia, non si discostava di molto dall'elaborato cerimoniale britannico (sempre allo scopo di temprare gli incauti che si facevano perfino raccomandare per entrare alla SMALP, convinti com'erano di essere trattati fin da subito con mille riguardi, come si conviene a dei futuri Signori Ufficiali...). Avevamo coreografie rigidamente codificate, la cui difficoltà metteva continuamente a rischio d'errore, formule cristallizzate dal tempo che andavano pronunciate senza sbagliare una virgola. Succedeva di tanto in tanto che il Capitano comandante la compagnia assistesse allo spettacolo allo scopo di verificarne l'esatta rappresentazione. In quelle circostanze la tensione raggiungeva il massimo livello. E venne quella tal sera in cui un impacciato allievo si presentò scandendo: “Capo della guard...”. S'interruppe qui, sotto lo sguardo fulminante del Supremo Censore, che, prima sibilando, poi via via aumentando l'intensità del tono in un crescendo wagneriano gli venne urlando a pochi centimetri dal naso:”Il capo degli indiani... il capo dei servi... il capo dei negri... Tu sei un COMANDANTE! … E stai punito!”

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