Fra sindaci disubbidienti che registrano matrimoni omosessuali, padri sinodali con lo sguardo rivolto al passato, sentinelle in piedi, ministri intransigenti e papi rivoluzionari, in questi giorni vi è un dibattito acceso, sui media e nelle prefetture, a proposito di diritti civili. E il contrasto, con chi non vede l'esigenza di riconoscere tali diritti e si sente invece defraudato di una consolante tradizione, è aspro. Mentre termino di leggere il libretto di Mario Adinolfi, che già mi sta suscitando parecchie perplessità, approfitto per somministrare ai miei pochi lettori due lettere, pubblicate sul Messaggero Veneto del 18 ottobre 2014, che a mio parere ben esemplificano l'inconciliabilità delle diverse posizioni. La prima, di non agevole lettura, è tuttavia una circostanziata disamina dei motivi giuridici (e di civiltà), che suggeriscono una rapida emanazione di norme che disciplinino finalmente le unioni civili. Perché in uno Stato laico, caro cavaliere, la Politica si deve occupare di tutti i propri amministrati, non soltanto di coloro che con il proprio voto hanno contribuito all'elezione del governo pro tempore incaricato. E vanno tutelate le situazioni giuridicamente rilevanti che interessano tutti i cittadini della Repubblica, minoranze comprese. Nella più breve missiva riportata in coda si comprende invece fin dalle prime righe come, da una parte del gregge, si guardi con diffidenza al nuovo Pastore, per alcuni eccessivamente in anticipo sui tempi. E mentre le chiacchiere ottundono le menti, la vita inesorabilmente fluisce, indifferente alle miserie umane. Con buona pace di Parmenide, Eraclito e … Rigoletto.
L'Europa e le coppie gay.
Egregio Direttore, meritano alcune precisazioni e riflessioni le vicende legate alle coppie nazionalmente miste formate da persone dello stesso sesso, unitesi in matrimonio nei paesi ove tale istituto è stato esteso anche alle coppie omosessuali, e che hanno stabilito la loro residenza nella nostra Regione. Innanzitutto va precisato che il rilascio dell'autorizzazione al soggiorno del cittadino di Paese terzo non costituisce affatto una scelta discrezionale da parte degli Uffici immigrazione delle Questure, come lascerebbe invece intendere l'annuncio di interrogazioni parlamentari, bensì un atto dovuto derivante dal rispetto di precise norme di legge, a sua volta espressione di obblighi a livello europeo. Con la “legge europea 2013” (L. n. 97/13) il legislatore italiano ha emendato la normativa di recepimento e attuazione della direttiva europea sulla libera circolazione e soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari. Le nuove disposizioni hanno esteso il diritto alla libera circolazione e al soggiorno anche al partner con cui il cittadino della Unione europea abbia una stabile relazione attestata da documentazione ufficiale, con conseguente rilascio della carta di soggiorno di familiare di cittadino UE, nel caso in cui il primo sia cittadino di un Paese terzo. Le nuove disposizioni sono state introdotte solo dopo che la Commissione europea aveva avviato nel 2011 una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per mancato adempimento della direttiva europea in materia di libera circolazione. Il mancato riconoscimento del diritto al soggiorno del cittadino di Paese terzo, coniuge o partner dello stesso sesso del cittadino dell'Unione, costituiva un obiettivo ostacolo alla libera circolazione delle persone nello spazio comune europeo. Oltretutto la lacuna normativa determinava una violazione del diritto fondamentale spettante a ciascuna persona a vivere liberamente una relazione di coppia senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, quale parte integrante del diritto al rispetto della vita personale e familiare, così come nel frattempo riconosciuto tanto dalla Corte europea dei diritti dell'Uomo (sentenza Schalk and Kopf v. Austria del 24 giugno 2010) quanto dalla stessa Corte Costituzionale italiana (sentenza n. 138/2010). La norma di cui alla “legge europea 2013” costituisce pertanto un passo in avanti verso il riconoscimento del diritto di ciascuna persona a vivere liberamente la propria relazione di coppia senza discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale. Nel nostro Paese, tuttavia, tale riconoscimento è allo stato attuale ancora del tutto insufficiente mancando una legislazione sulle unioni civili che il Parlamento deve adottare urgentemente, come la Corte Costituzionale ha nuovamente ricordato con la recente sentenza n. 170/2014. La questione della trascrizione degli atti di matrimonio contratti all'estero da coppie formate da persone dello stesso sesso rivela l'insostenibilità dell'attuale situazione italiana. I Comuni sono infatti chiamati ad applicare una normativa che secondo le direttive del Ministero dell'Interno e l'interpretazione finora seguita dalla Cassazione (sentenza n. 4184/2012) impedirebbe tale trascrizione; normativa che, tuttavia, in mancanza di alcun organico riconoscimento giuridico delle stabili relazioni all'interno di una coppia omosessuale che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, si espone al possibile se non probabile giudizio d'incostituzionalità. Sono tuttora pendenti dinanzi alla Corte europea di Strasburgo sei ricorsi riguardanti il rifiuto delle autorità italiane di registrare matrimoni omosessuali contratti all'estero e l'impossibilità delle coppie formate dallo stesso sesso di contrarre matrimonio in Italia od avere accesso ad altra modalità di unioni civili. Sarebbe auspicabile che il Parlamento italiano adotti una legislazione sulle unioni civili non solo a seguito delle condanne e delle pressioni provenienti dagli organismi e dalle corti europee, quanto piuttosto di un'acquisita maturità della sua società civile e politica verso i diritti civili della persona a vivere liberamente le proprie relazioni personali e familiari in un'ottica di uguaglianza e non discriminazione.
Walter Citti
Garante Fvg per le persone a rischio di discriminazione
Ufficio del Garante regionale per i diritti della persona
Le sorprese di Dio
Signor Direttore, papa Francesco ci sorprende spesso, e positivamente. Ma nei giorni scorsi ha fatto un'affermazione - “Dio è il Dio della legge, ma è il Dio delle sorprese” - che confligge con ogni idea di Dio maturata fin dai primordi della filosofia. Non solo con la concezione di Parmenide, per il quale l'Essere è sempre uguale a sé stesso, ma persino con quella di Eraclito ed Hegel per i quali la divinità è sì in divenire, ma secondo una legge eterna e immutabile. Nella filosofia, di “sorprese” da parte di Dio non v'è traccia. Nella concezione cristiana che fa di Dio un Padre Provvidente le uniche sorprese, e non è poco, possono essere i miracoli. Neanche il Dio cristiano, infatti, può cambiare le leggi morali. Sono gli uomini che le cambiano, come sta facendo Francesco con le sue aperture nei confronti dei gay e dei divorziati risposati. Lasciamo stare Dio di cui non sappiamo assolutamente niente, e tantomeno se “muta d'accento e di pensier”.
Ezio Pelino
La sorpresa di Dio è la nostra gioia, ritovare nella nostra storia il suo amore che sovrasta ogni nostro pensiero
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