(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

giovedì 9 ottobre 2014

Piccolo è bello

Bastiancontrario da sempre. Originale, alternativo, asociale, bizzarro. Diffido istintivamente delle adunate oceaniche, dei rituali di massa, degli eventi che riuniscono le moltitudini, preferendo di gran lunga le situazioni di nicchia, gli incontri negletti, le manifestazioni peregrine. Da quando ho raccontato ai colleghi d'ufficio di aver assistito alla presentazione di un lavoro di ricerca sul massaggio prenatale di tradizione maya, praticato anche ai giorni nostri nello Yucatan, ancora sento gli echi dei loro sberleffi. Rinnovati all'annuncio della visione di una serie di capolavori del cinema muto giapponese degli anni '30 (con sottotitoli in inglese), elargita da Cinemazero of course. E non gli ho ancora detto di quella volta che nel vecchio prefabbricato di via del Zoccolo, soffocato dal caldo, assistetti a una lezione-spettacolo sul teatro balinese... Eppure, ciascuna di queste esperienze, rigorosamente ignorate dal pubblico degli stadi, mi ha trasmesso emozioni che si sono sedimentate nell'anima. Le serate sot il tei di Moruzzo, con l'indimenticato pre' Gilberto che ti portava nell'incanto delle origini di Aquileia e della sua rustica religiosità; il fascino seducente del canto popolare dei Cantapassione umbri, ascoltati in una sala dell'università di Perugia mentre i più sgomitavano per sentire Al Gore e immortalare l'evento con il proprio cellulare; le bancarelle della prima Edit-Expo, antesignana di Pordenonelegge, dove piccoli editori del triveneto esponevano raffinatezze librarie che le big del settore nemmeno si sognano... Scartabellando nei miei archivi ho ritrovato questo pezzullo (come direbbe Giannino Cadin). Una delle mie vanitose missive ai quotidiani locali, risalente a qualche anno fa, che mi piace condividere ancora con qualche sparuto lettore.
Folkest 1997: tante grazie e una riflessione.

Ogni anno sono in molti, e non solo nella nostra regione, ad attendere con impazienza l'arrivo del mese di luglio per seguire i concerti, sempre numerosi e interessanti, che Folkest propone. Pare corretto ringraziare gli organizzatori del festival di musica etnica da poco conclusosi a Spilimbergo, perché con il loro impegno ci consentono ogni anno di conoscere realtà di genti a noi più o meno vicine e sensibilità diverse di musicisti di ottimo livello. Sul programma di quest'edizione vorrei proporre due riflessioni. Durante i concerti tenuti a Caneva e Brugnera, si sono levate più volte dal pubblico indignate richieste di silenzio rivolte a chi, evidentemente, più che per la musica si trovava sul posto per "far sagra", producendo un fastidioso sottofondo di grasse risate e chiocciar di comari. Va riconosciuto, peraltro, che collocare un concerto all'interno di un programma di festeggiamenti non significa sempre sacrificarne la tranquilla fruizione; e ho in mente l'esibizione dei Bleizi Ruz in Val de la Roja per la "Fiesta de la mont" nel 1994 e altre serate riuscitissime, nonostante l'inclemenza del tempo, a Villa Varda. Non essendo per ora purtroppo applicabile l'idea di sottoporre a un test di ammissione gli aspiranti spettatori, per escludere dallo spettacolo chi si riveli poco rispettoso del lavoro altrui, si potrebbe forse valutare diversamente l'idoneità dei luoghi scelti per i concerti, badando ad esempio che il chiosco delle "ombre" e patatine fritte sia ben distante dalla platea. La seconda riflessione prende spunto dalla serata finale con i Jethro Tull, in cui, come riportato anche dal Gazzettino, tra gli spettatori sono volate parole grosse, bottiglie di plastica e secchiate d'acqua. Tutto perché appena gli artisti sono entrati in scena una marea di persone che fino a quel momento erano rimaste sedute sull'erba saturando i corridoi tra le poltroncine, davanti al palco e in tutto lo spazio libero circostante, si sono levate in piedi sbracciando osannanti. E allora, quelli che avevano trovato posto a sedere sono saliti sulle poltroncine, e, nel settore dalla parte del Duomo, si alternavano cori sempre più rabbiosi che scandivano "seduti! " e "giù dal pozzo! ". Pur non intendendo mettere in discussione l'elevato valore artistico del gruppo ospitato in chiusura di festival, io ricordo di avere percorso una sera di qualche anno fa quasi 120 km per andare a sentire a Cercivento due ragazzi scozzesi che con una chitarra acustica e una cornamusa sono stati comunque capaci di creare un'atmosfera magica, facendo provare al loro piccolo pubblico emozioni da ricordare. Comprendo l'ambizione di portare dei grossi nomi alle serate conclusive, però continuo ad amare Folkest per le piccole occasioni che ci offre di apprezzare della buona musica entro le cornici suggestive di tanti bei posti della nostra regione, e mi chiedo se un concerto con affluenza da stadio di calcio sia davvero coerente con lo spirito del festival , o se non sia meglio invece moderare le aspirazioni riportando anche gli spettacoli finali entro limiti di maggiore godibilità.

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