(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

venerdì 21 novembre 2014

Sindaci, sceriffi e matrimoni.




”Honi soit qui mal y pense”. Si fa un gran parlare in queste settimane, non solo sulla stampa locale, del tema dei matrimoni gay e della loro iscrizione nei registri dello stato civile. Da una parte, sindaci disobbedienti che registrano le nozze contratte all'estero (dato che in Italia ancora l'istituto non è contemplato dall'ordinamento), dall'altra i prefetti che ne ingiungono la cancellazione, istigati dall'oltranzismo ministeriale delle circolari alfaniane. Nel mezzo, varia umanità, che disquisisce spesso a vanvera di argomenti ai più ignoti, arroccandosi su posizioni di principio, precetti canonici e malinteso senso della tradizione. A ben vedere, la questione pare assai affine al tormentone sull'articolo 18. La registrazione dei matrimoni omosessuali contratti all'estero, di fatto, non ha alcun riflesso legale, nessuna conseguenza pratica; non comporta alcun vantaggio ai coniugi, non reca danni alla comunità. L'applicazione dell'articolo 18, si dice, è di fatto limitata a uno sparuto gruppo di “privilegiati”, escludendo dalle tutele sindacali una più vasta platea di lavoratori; i casi di “reintegra” si contano sulle dita di una mano. Essì, ma siccome non si vive di solo pane... Il significato simbolico incluso nell'abolizione dell'articolo 18 consiste nell'addossare ai lavoratori le responsabilità del mancato sviluppo economico, mandando assolta una classe politico-imprenditoriale troppo spesso imbelle, miope e codarda. E certi simboli pesano come macigni. Allo stesso modo, secondo certa opinione pubblica, la registrazione dei matrimoni gay avrebbe la valenza simbolica di una legittimazione: l'imprimatur istituzionale a una condotta di vita contro-natura, riprovevole e sconveniente. Sull'altro lato della barricata, sindaci ribelli e associazioni LGBT, ben consapevoli che ai fini pratici la registrazione poco fa, ne intuiscono tuttavia la funzione di “cavallo di Troia”, l'occasione per stimolare un dibattito civile che porti ad occuparsi di problemi concreti. L'ipocrisia clericale che ancora permea talune stanze del potere ci ha condotto all'ennesima impasse. Il caso Englaro non è servito a nulla: le spinte conservative esercitano ancora un freno formidabile che rallenta lo sviluppo sociale ed economico del nostro sventurato Paese. E, se proprio si vogliono cercare le cause, ciascuno si guardi allo specchio e rifletta. Di seguito riporto un intervento dell'avvocato Francesco Furlan, uno dei protagonisti locali della vicenda "matrimoni gay", pubblicato ieri sul Messaggero Veneto. Mi auguro che la sua lettura riesca a indurre alla meditazione perfino i più recalcitranti (pia illusione dato che quelli non leggono), svergognando gli sceriffi e i loro sodali, ignari baciapile e pettegole beghine.
«L'ultimo brindisi da coniugati. Da domani singles again! Cheers Angelino!». Brindisi al ministro dell’Interno e una foto che è ritratto di due persone felici assieme. Nonostante tutto e tutti. Perché che Francesco e Derek siano una coppia è un fatto. E così i coniugi più famosi di Pordenone hanno scelto di condividere questa avventura ormai collettiva su Facebook .

«Non sono risentito. Sono quasi divertito – scrive Furlan rispondendo a uno dei tanti commenti di vicinanza –. Anzi, forse, stupito è il termine giusto. Diventare improvvisamente un pericolo pubblico non è una cosa da tutti i giorni. E leggere il tuo nome su un atto così importante, emesso dall’istituzione, in momenti di Isis, di Ebola, di Cig, dei furti in casa all’ora di pranzo, delle discussioni sulla distribuzione dei farmaci per malattie croniche e mortali, ti crea un attimo di smarrimento. Ma poi, non so perché, improvvisamente, ti rendi conto che non sei tu quello che ha torto. Ed è una sensazione bellissima».

Prosegue Furlan: «Derek e io, Adele e Ingrid e tutte le altre coppie italiane che stanno lottando in questa battaglia fondamentalmente senza senso, la guerra l’abbiamo già vinta. E di questo sono felicissimo. Che ci cancellino pure dai registri – credo comunque ancora per poco – ma non ci potranno cancellare ormai dalla storia. Quella con la esse minuscola, non pretendo i libri. Quella semplice, fatta dalla gente che ti saluta per strada e si congratula. Quella degli amici stranieri che si dichiarano increduli per ciò che avviene in Italia nel 2014 e non se lo immaginavano. Quella dei tanti ragazzi e ragazze che ti scrivono un messaggio su Facebook, dandoti ovviamente del Lei, e ti chiedono un consiglio o una parola su come affrontare una situazione che purtroppo in Italia può ancora essere difficile e non se ne capisce il perché, causando invece a volte morte, dolore e violenza».

«O – cosa che mi ha suscitato una tenerezza estrema – dell’anziano che ti dice “magari ci fossi stato tu 50 anni fa”. Andiamo avanti, senza polemica o recriminazione. E intanto voglio esprimere pubblicamente – e lo faccio per la prima volta, non avendo - volutamente fatto dichiarazioni nelle scorse settimane –, un (sentito, profondo, estremo: non ci sono aggettivi sufficientemente descrittivi) ringraziamento a Giacomo Deperu Carta, Alexander Schuster e Claudio Pedrotti: senza il vostro coraggio, follia e preparazione, magari anch’io me ne sarei infischiato e non avremmo scomodato il ministero degli Interni e creato questo dibattito, civile e dovuto. Grazie».

Nessun commento:

Posta un commento

se sei un utente anonimo, ricorda di aggiungere in calce il tuo nome ;-)