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e le note vengono aggiornate di quando in quando)

giovedì 11 dicembre 2014

Errare humanum est.

Perseverare, invece, è … folpo! Per la seconda volta, in breve volgere di tempo, leggiamo dichiarazioni del Presidente del Consiglio Comunale, che definire avventate sarebbe fin troppo generoso. Ormai, trovare le metafore più acconce per illustrare le vicende consiliari diventa esercizio sempre più impegnativo, dato che la realtà riesce a superare di gran lunga la più sfrenata fantasia. Già in seguito alla scorsa assise, pronosticava a mezzo stampa il Sommosacerdote tremende rampogne legali a danno di un incauto cittadino che si sarebbe azzardato a immortalare con la propria fotocamera i banchi del Consiglio, privo della necessaria patente presidenziale.
A questo proposito, giova osservare (e tocca ricorrere a un'autocitazione):
che videoriprendere le sedute consiliari o scattare foto senza la prescritta autorizzazione del Presidente del Consiglio configuri una contravvenzione al “Regolamento per la disciplina delle adunanze del Consiglio Comunale” è fuor di dubbio. Da qui a vaticinare possibili guai per il contravventore, come riportato dalla stampa, ce ne corre. Né il Consiglio comunale cittadino, né tantomeno il suo Presidente hanno la benché minima potestà di irrogare alcun genere di sanzione nei confronti del contravventore. Se l'illustre politico nostrano intendesse con le sue affermazioni far riferimento alla possibilità che hanno i singoli consiglieri di adire le vie giudiziali allo scopo di veder riconosciuta una ipotetica violazione del loro diritto alla privacy, beh, in questo caso mi riuscirebbe davvero difficile evitare di sbellicarmi dalle risa. Sarei davvero curioso di vedere quale giudice è disposto a sanzionare il cittadino che fotografa i banchi del Consiglio Comunale nel corso di una seduta pubblica. Quale diritto sarebbe stato leso? Quale danno arrecato? Dal punto di vista procedurale, poi, sarebbe interessante consultare qualche operatore del diritto per farsi spiegare come si intenderebbe arrivare alla formazione della prova nel corso di un eventuale dibattimento: si punta forse sulla dichiarazione spontanea di colpevolezza del presunto reo? Ritorni il Sommosacerdote coi piedi per terra e si renda conto che un regolamento di un qualsiasi comune della Penisola non ha alcuna potestà disciplinare in tema di privacy: è già tutto scritto e stabilito da altri. Le regolette votate dalla Coesa Maggioranza a questo riguardo sono scritte sulla sabbia. Al malcapitato contravventore, tutt'al più, il Presidente potrà comminare 5 minuti di vergogna dietro la lavagna, potrà espellerlo dall'Aula, potrà rimproverarlo con tono aspro e sguardo truce, quanto egli ben sa sovente riservare ai discoli “della sinistra”. Ma questo, ci consenta, è un pegno che pagheremmo con animo lieto.
Poscia ci fu l'affaire della mozione di sfiducia al Sindaco, proditoriamente appoggiata da due dei tre consiglieri del gruppo misto. Si viene così ad apprendere, leggendo la stampa locale , che in seguito a quel voto scellerato, il gruppo misto si sarebbe “frazionato in due più un componente” (l'avvocato Bottosso, a differenza dei suoi due coinquilini, non aveva sostenuto la feral mozione). Poiché per essere validamente costituito, un gruppo consiliare abbisogna di un numero minimo di tre consiglieri, secondo il sacerdotale sillogismo “risulta l'obbligo di procedere all'accorpamento ad altri gruppi politici presenti in Consiglio”. Trattandosi di tesi agevolmente confutabile perfino da uno studente universitario del prim'anno, non ha tardato a giungere una bacchettata sulle mani direttamente da Trieste. Appare del tutto evidente che i consiglieri componenti il gruppo misto possono votare come vogliono, di volta in volta sostenendo, oppure contrastando le proposte della maggioranza, senza vincolo di solidarietà. Dopo decenni di malapolitica, ci siamo forse scordati che la libertà di autodeterminazione di ciascun Consigliere (e il ragionamento può essere applicato anche ai parlamentari della Repubblica) è inviolabile. Non si vota “per obbligo di casacca” (eh, no, consigliere Biason, non si fa). Per lo meno, non si dovrebbe fare. L'elettore, manifestando la propria preferenza, accorda fiducia al singolo, non a un simbolo (o, per lo meno, così dovrebbe essere, in una democrazia sana e vitale). I consiglieri Biason e De Benedet, pertanto, possono continuare a esercitare il proprio mandato elettorale, anche se a qualcuno il loro voto risulta indigesto. Gli stessi consiglieri hanno titolo di mantenere il loro scranno nel gruppo che li ospita, e che non si comprende in virtù di quale meraviglioso incantesimo dovrebbe essersi “automaticamente” sciolto. L'avventatezza non è virtù apprezzabile, in un Pubblico Amministratore, e consentire all'arroganza di prevalere sull'equilibrio, comporta inevitabili, imbarazzanti scivoloni.

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