e le note vengono aggiornate di quando in quando)
lunedì 22 dicembre 2014
London 14 - Uno
I miei compagni di volo avevano calorosamente patrocinato un'escursione domenicale a Camden Town. Dopo aver preso qualche sommaria informazione, ho deciso di dar loro retta soltanto perché nella vicina Albert Street ha sede un museo ebraico che viene presentato con toni entusiastici dalla mia guida della città. Così, dopo aver fatto colazione, mi avvio alla stazione del treno che mi porterà a Victoria. Lungo il muretto del ponte della ferrovia, uno scoiattolo di taglia Garfield rumina indisturbato e indifferente ai frettolosi passanti che sfrecciano poco lontano da lui. Intruppato mio malgrado nella calca metropolitana riesco a raggiungere la mia destinazione con un paio di cambi di Underground. Servizio impeccabile. Pulizia esemplare. Informazioni complete ed efficaci. Non si ha nemmeno il tempo di guardarsi un po' in giro, che arriva un nuovo convoglio, elegantemente moderno e tecnologico. All'uscita della metro mi rendo conto in fretta di essere piombato in un carnaio commerciale disossa-turisti, che è meglio abbandonare al più presto, e faccio rotta per il Jewish Museum, dove controllano scrupolosamente le mie borse, per intuibili ragioni di sicurezza. Il museo si presenta fin dalla prima sala in tutto il suo splendore. Le teche espongono un fulgore di argenti che pare il tesoro della Corona. Brevi filmati illustrano le festività ebraiche e le diverse tappe nella vita di un ebreo osservante, dal Bar Mitzvah al matrimonio, informando il visitatore sul significato simbolico dei gesti e sulla funzione dei vari oggetti rituali. Nita era insegnante di matematica e scienze. Ora fa la guida al museo. Si offre ripetutamente di rispondere a ogni domanda che avessi da porle, fino a che, di fronte a tanta disponibilità, devo capitolare. E allora mi descrive uno splendido Aron di manifattura veneziana, poi mi indica un dipinto raffigurante l'interno della sinagoga di Livorno, racconta entusiasta un sacco di particolari sugli oggetti custoditi nel museo, come quelle antiche pergamene che altro non sono che contratti matrimoniali (molto in anticipo sugli americani moderni, sghignazza). Quando le dico che arrivo dall'Italia e che vivo a non molta distanza da Venezia, le si illumina il volto. I love Venice! Ci ha accompagnato torme di adolescenti in gita scolastica, ai suoi tempi. E, malgrado l'età turbolenta dei fantolini, mai nessun ragazzo ha creato problemi, eh! Sì, dico, gli inglesi sono senz'altro più disciplinati degli italiani. Non è d'accordo, Nita. Dice che oramai la disciplina è rimasta soltanto un ricordo, perfino nel Regno Unito. La saluto ringraziandola per il tempo che mi ha dedicato e approfitto di una provvidenziale panchina del museo per riposare le gambe. L'ultimo piano del palazzo è riservato alle esposizioni temporanee e in questi giorni ospita un'antologica di un interessante graphic designer, britannico ed ebreo. Il rapporto di questa città con l'ebraismo andrebbe indagato (parlo per me). Non bisogna dimenticare che Benjamin Disraeli fu un importante primo ministro ai tempi della regina Vittoria, nella seconda metà dell'Ottocento. Là dove sorgeva l'antico ghetto, ora si stagliano gli sfolgoranti uffici delle società finanziarie. Da quelle parti si trova anche quella che fu la prima filiale estera della COMIT, aperta nel 1911, che oggi indossa una livrea diversa, dalla quale tuttavia ancora traspare ben altra signorilità.
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