(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

giovedì 4 dicembre 2014

Montefeltro Memories - San Marino

Dàiri arriva da Pinar del Rio, arrota la erre come soltanto i latinos sanno fare, e ha un sorriso accattivante sotto una fluente chioma corvina. Nella piovosa e umida San Leo vende pecorini, formaggio di fossa, vino di Vìsciole e Sangiovese. E' qui da due anni e non ha nostalgia. Il freddo le piace, dice. A Cuba fa sempre caldo e, a lungo andare, ci si stufa. Beato chi si accontenta... Mi vien da sorridere, se penso all'ingenuità di tutti quei turisti mordi-e-fuggi, figli della società futurista contemporanea, dove impera il mito della velocità, convinti che per poter visitare un luogo, piuttosto che un'intera regione, sia sufficiente qualche mezza giornata “e si è visto tutto”. Al viaggiatore per conoscere Venezia non basterebbe una vita. Sorprendersi col naso all'insù di fronte alla tela più grande del mondo, quella che adorna il soffitto della chiesa di S. Pantalòn, per esempio. Oppure visitarne il ghetto, con le sue sinagoghe. Ma anche farsi raccontare i segreti dell'invetriatura in quella botteguccia artigiana di ceramiche, ricavata nelle poderose fondamenta della più bella piazza di Pienza, sotto al Duomo, lungo quell'incantevole passeggiata dove fuori dagli usci delle case si affollano vasi di fiori dai mille colori e profumi, mentre a valle si stende uno dei tanti panorami mozzafiato del senese.
E' l'ora che pia, la squilla fedel... Così intona il campanile del Duomo di San Leo verso le sei di sera. Allo stesso modo di quella chiesetta che stava poco fuori dal Biribino, il B&B dove trovai alloggio quella volta che decisi di visitare Città di Castello, La Verna con tutte le sue robbiane, il museo di Aboca, nel suo bel palazzo seicentesco, e l'archivio dei diari di Pieve Santo Stefano, con la sua sede disagiata, due-camere-e-cucina. Quando ci andai io, l'edificio destinato a ospitarne in maniera più funzionale e decorosa le collezioni era in corso di costruzione. Chissà se nel frattempo è stato completato, dando finalmente ai visitatori la possibilità di godere come si deve di tutte quelle raccolte manoscritte.

Quando visitai San Marino nel 2005, potei dedicarvi soltanto un paio d'ore, giacché ero sulla strada del rientro. Oggi voglio prendermela con un po' più di calma. Spesso gli indigeni si rivelano pessimi informatori, quando gli si chiedono notizie pratiche, tipo il parcheggio più conveniente, per evitare di essere dissanguati. Scoprirò cercando online che in città esiste un parcheggio n. 12, il più lontano dal centro storico, che è del tutto gratuito. Con 2 euro di biglietto anda-e-rianda (come direbbe il mio amico Luca, il genovese), una comoda navetta consente di raggiungere il centro. Consentirebbe, in verità. Se fossimo in estate. Questo almeno è quanto ho potuto sapere da uno dei custodi del museo di Stato, interrogato sul mistero della navetta scomparsa. Niente lasciava presagire che si trattasse di un servizio stagionale, non le info online, e nemmeno la cartellonistica stradale posta in prossimità del P12. Immagino lo smarrimento e il disappunto di un qualunque turista estero... Da parte mia, debbo allora ripiegare sul P9, nove piani di autorimessa. Che gratuita non è. Alla cassa della Casa del Natale c'è una giovane dai tratti somatici orientali, che però parla con accento romagnolo, evidentemente influenzata dal suo aitante coinquilino del piano di sopra, dove trovo esposti raffinati carillon, caroselli con playlist di 40 brani , luci dai colori cangianti e cavallucci stantuffanti che farebbero andare in brodo di giuggiole schiere di bimbi, un ambiente natalizio con personaggi animati (e relativa colonna sonora multi-track) racchiuso nell'involucro di un vecchio televisore a tubo catodico, di quelli che troneggiavano sui bureau nei soggiorni degli anni '50. Il tutto con quotazioni che raggiungono multipli di centinaia. Mi accontento di ben più modesti cadeau. Chiedo consiglio alla giovane orientale per consumare un pasto non dissanguante e ne ottengo l'indicazione di recarmi al ristorante-pizzeria “Ghietto”. Scoprirò che in realtà si tratta del “Ghetto”, dove i prezzi sono effettivamente calmierati, per un pranzo del tutto soddisfacente. Entrano nel locale due gendarmi in alta uniforme. Oggi si festeggia Santa Barbara e, evidentemente, viene loro richiesto di indossare la livrea delle grandi occasioni. Calzoni cremisi, come i bersaglieri, in tinta con le tovaglie del Ghetto, con banda laterale verde e giacca verde scuro, con lo stemma del Titano applicato sul braccio sinistro. M'informano che la santa è patrona degli artiglieri. Ed ecco la ragione del replicar di salve di cannone che per tutta la mattina mi aveva incuriosito. Per soli 10 euro si ottiene un biglietto che apre le porte di ben cinque musei statali. Inizio dalla Seconda Torre, dove si custodiscono pregevoli esemplari di armi antiche, ottimamente conservate, restaurate e accudite, per proseguire con la Rocca, dove si vedono alcune celle dalle pareti istoriate di messaggi e disegni tracciati dagli storici inquilini. Peccato che vi sia una densa nebbia spumosa depositata tutt'intorno, perché la vista, da quassù, dev'essere spettacolare. Per raggiungere lo spettacolo, però, occorre munirsi di garretti da artigliere (da montagna), in onore di Santa Barbara. Il Palazzo Pubblico oggi non è visitabile, non si sa perché. Fa niente. Il Museo di Stato e il Museo di S. Francesco racchiudono entrambi reperti che meritano la visita. Ormai sfiancato e carico come un mulo, riguadagno il parcheggio multipiano, saldo il conto e mi avvito lungo le rampe che mi faranno scendere tutti e nove i piani col rischio di un capogiro, per raggiungere nuovamente l'agognata branda del Belvedere.

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