(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

domenica 15 novembre 2015

Il solco e l'aratro

Lino è entrato nello stabilimento che aveva 16 anni e ha smesso di lavorare nel 1991. La sua famiglia si trasferì da Jesolo durante la guerra, quando lui era ancora piccino, per andare in una delle fattorie sorte sulle terre appena bonificate da Mussolini. Nel '54 ha fatto anche la maschera, Lino, proprio in quel Teatro Dopolavoro che ancora oggi affaccia l'ingresso degli impianti. Settecento posti, dice, aveva anche la buca per l'orchestra. E gli si illuminano gli occhi mentre rievoca i ricordi della propria gioventù. Il lavoro gli piaceva, era diventato capo turno. La qualifica gli garantiva un alloggio migliore di quello assegnato ai semplici operai. Nel suo appartamento Lino aveva il bagno. Erano tempi, quelli, in cui i figli degli operai non potevano mica giocare assieme a quelli degli impiegati. Apartheid sociale anche nella bassa friulana. Movimentava quantità impressionanti di legname necessario a produrre cellulosa e ci snocciola cifre puntuali senza alcuna esitazione. All'inizio si faceva tutto a mano, poi sono arrivate le prime gru e tanti altri macchinari, ma lui sapeva farli funzionare tutti. I tronchi di eucalipto si stoccavano in ogni spiazzo libero, anche laggiù, verso le piscine. Lo spazio non bastava mai. E' stato fortunato, Lino, a non lavorare nelle torri. Dice che dalle finestre del tunnel di collegamento, là in alto, ha visto tante volte gli operai investiti dai miasmi solforosi sporgersi a cercare un poco d'aria e chiedere aiuto. Sono tutti morti giovani, quei ragazzi.

”Ab Autarchia Imperium”. Così recita il motto iscritto nella lista del primo stemma araldico di Torviscosa, una delle “città di fondazione” sorte in Italia negli anni trenta del secolo scorso. Più di 5.300 ettari, là dove la terra friulana si confonde col mare. Una volta completata la bonifica di vaste zone paludose da destinare alla coltivazione della canna gentile, meno di un anno fu sufficiente per creare dal nulla un imponente complesso industriale destinato a produrre cellulosa e contribuire così allo sforzo teso a rendere autosufficiente il Paese, a dispetto delle inique sanzioni. Nel 1938, assieme alla fabbrica, venne inaugurata la cittadina che doveva ospitare qualche migliaio di operai, quadri e dirigenti aziendali, con le rispettive famiglie.
”Soltanto pochi mesi or sono questo territorio aveva l'aspetto di una landa semideserta; dopo pochi mesi di lavoro è sorto uno stabilimento che si può annoverare fra i più grandiosi d'Italia e forse d'Europa”

(dal discorso inaugurale di Benito Mussolini, 21 settembre 1938)
Oggi l'area esterna dello storico impianto industriale è stata aperta per la prima volta alle visite del pubblico. I curiosi sono tanti e si susseguono in gruppi guidati da turistici chaperon come scolari diligenti, ciascuno col suo elmetto protettivo colorato. Sono arrivate le autorità politiche e civili, si tengono convegni. Il ministro dell'ambiente promette 32 milioni di euro per risanare il sito inquinato. Lino ringrazia i quattro foresti che hanno ascoltato le sue storie con avida pazienza, stringe la mano a tutti con un sorriso e inforca la bici per tornare a casa.

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