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lunedì 11 gennaio 2016

Adozioni, diritti e falsità

Dopo una lunga gestazione sta per andare in Aula il cosiddetto disegno di legge "Cirinnà bis", che, semplificando, è volto a disegnare la disciplina delle unioni civili (ne parla Repubblica in questo articolo). Senza lasciarsi travolgere dalle polemiche furibonde che imperversano da mesi (ma che l'imminente discussione in Aula rende ancora più aggressive), suggerisco di andarsi ad abbeverare direttamente alla fonte, per capire che cosa effettivamente prevedono le norme proposte per diventare legge. Uno dei punti più controversi paiono essere le cosiddette "adozioni gay", di cui tratta l'articolo 5 del ddl. Composto da un unico comma, che recita:
All'articolo 44, comma 1, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, dopo la parola: «coniuge» sono inserite le seguenti: «o dalla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso» e dopo le parole: «e dell’altro coniuge» sono aggiunte le seguenti: «o dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
(il testo del disegno di legge in parola si trova al seguente link)

L'articolo 44, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (che si rintraccia facilmente online, ad esempio qui), al comma 1 prevede:
I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7:
a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge;
c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;
d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Tirando le somme, quindi, che cosa prevede il ddl Cirinnà bis, di cui si sta discutendo spesso a sproposito in questi giorni? Di includere i partner (anche omosessuali) dell'istituenda unione civile nel novero di soggetti legittimati all'adozione di un minore. Chi parla di utero in affitto lo fa, evidentemente, allargando l'analisi del testo e lasciandosi trasportare dalle numerose suggestioni mediatiche e propagandistiche. Certo, si obietterà, ma una persona omosessuale non può naturaliter generare figli. La lettera b) dell'art. 44 su riportato si riferisce infatti al "figlio anche adottivo dell'altro coniuge". E da dove mai potrà quindi saltar fuori il minore, se non da pratiche di bioingegneria dai controversi profili etici e morali? Se solo si provasse a sgombrare il campo dai pregiudizi, si riuscirebbe a osservare la realtà con uno sguardo più sereno e obiettivo. La campagna contro l'omofobia che Arcigay Friuli promosse nel 2013 (si veda il relativo comunicato stampa a questo link) ebbe, fra gli altri, il merito di portare a galla uno degli aspetti della realtà quotidiana delle persone omosessuali. Perché, malgrado gli anatemi che si levano senza la necessaria riflessione, la vita vera, quella con cui ci confrontiamo ogni giorno, ci fa sapere che molte persone omosessuali genitori lo sono già da tempo, avendo dei figli. Frutto di precedenti relazioni etero, evidentemente. Il percorso che porta una persona a riconoscere, prima, e accettare, poi, la propria identità sessuale (con tutto quel che questo comporta in un contesto storico-sociale non sempre particolarmente incline ad accogliere con benevolenza le diversità) è del tutto peculiare per ciascun individuo. Ognuno può avere reazioni diverse, quando prende coscienza del proprio orientamento sessuale, chi prima, chi dopo, secondo i tempi scanditi dalla propria esperienza di vita. Così, non è poi così raro che qualcuno si faccia una di quelle cosiddette "famiglie tradizionali", sposandosi e generando figli, prima di riconoscere e accettare il proprio orientamento omosessuale. In occasione della Festa dell'Unità, a Vallenoncello, lo scorso anno intervenne l'avvocata pordenonese Antonia Pili per illustrare il caso di stepchild adoption che stava patrocinando (sentenza recentemente confermata dalla corte di appello, cfr. Repubblica). Il tutto nacque, come riferì la dottoressa Pili, dall'incontro con la partner della genitrice, rosa dall'ansia. La donna, ogniqualvolta accompagnava all'asilo la piccola, figlia della propria compagna, temeva di poter essere accusata di ratto di minore, in caso di eventuale controllo di polizia, dato che fra lei e la bimba non intercorre alcuna relazione di parentela. Eppure la piccola vive con la coppia da tempo e considera la signora come la sua seconda mamma. In questo caso la bimba è nata da procreazione assistita, all'estero dato che nel nostro Paese la pratica non risulta ancora consentita (su questo chiedo soccorso agli amici giuristi e legulei). Il tema della procreazione assistita merita un ragionamento a parte, con gli approfondimenti richiesti dai suoi esiti etici e morali, e io confesso fin da subito tutte le mie perplessità al riguardo. Ma la legge, il diritto, sono chiamati a regolare la vita reale, non le ipotesi ideali di società perfetta a cui si tende. Da qui, le numerose sentenze dei tribunali, che intervengono da tempo a colmare vuoti legislativi non più tollerabili. Tornando al ddl che ci occupa, pertanto, si può concludere che il famigerato articolo 5, che tanti strali attira su di sé, non introduce di certo nel nostro Paese la procreazione assistita, come falsamente si va affermando. Colma piuttosto delle lacune normative, andando a disciplinare le unioni civili, anche fra individui dello stesso sesso, e prevedendo la stepchild adoption sana l'ennesimo vuoto, estendendo semplicemente dei diritti che verrebbero comunque, presumibilmente, assicurati dalla decisione di un giudice (a cui evidentemente si può rivolgere soltanto chi abbia una sufficiente disponibilità economica). Come spesso succede, è Famiglia Cristiana a offrirci una lettura molto misurata e obiettiva dell'argomento (si veda questo link), a differenza di taluni talebani domestici che levano le loro scomuniche dai pulpiti più inopportuni e improvvisati.  

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