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lunedì 4 gennaio 2016

Banche, disastri e responsabilità condivise

L'attenzione su uno dei tanti post che si alternano giornalmente sulla mia bacheca facebook era stata calamitata da un richiamo alla COMIT, cui mi lega la mia storia professionale ed umana, ma la successiva lettura del pezzo di Beniamino Piccone per il Sole24Ore (che si può trovare a questo link) ha prodotto alcune riflessioni piuttosto attuali. La vicenda delle 4 banche in procinto di saltare non sembra avere grandi elementi di novità rispetto ad analoghi episodi del passato. Al netto dei sensazionalismi mediatici e della superficialità con cui gli intrattenitori dello show business televisivo continuano ad approcciare anche questi gravi episodi, pare opportuno recuperare la lucidità per ragionare su qualche aspetto meno accattivante a livello di share ma di gran lunga più sostanziale. E' bene fin dal principio evitare le generalizzazioni che portano a far di ogni erba un fascio. Non conosco nel dettaglio i problemi delle singole realtà bancarie coinvolte, né delle 4 in questione, né di Veneto Banca, piuttosto che di Popolare di Vicenza (altre due realtà di cui si discute in questi giorni), per cui non entrerò nello specifico. Mi baserò sulle notizie di stampa e sulla mia esperienza lavorativa. Se, come riferisce Piccone, le sofferenze di Banca Etruria rappresentano un terzo degli impieghi, il rinvio al mod. 253 della COMIT di Mattioli e Malagodi pare del tutto azzeccato, ancorché tardivo. Occorre sottolineare che la concessione di credito da parte delle banche a imprese e privati non può assimilarsi a una scienza esatta. Pur partendo da basi documentali, e dunque sufficientemente oggettive, per quanto non sempre del tutto attendibili, molto si basa su un processo di valutazione personale del singolo operatore, che analizza i dati secondo la propria specifica sensibilità ed esperienza. Al di là dei casi eclatanti, numericamente poco significativi, in cui emergono elementi inequivocabili che devono portare a un diniego, nella maggior parte dei casi chi è chiamato a decidere compie una stima, ponderata sulla scorta di tutti gli elementi e le informazioni a sua disposizione. Stima che è certamente fallibile, tanto più quando la valutazione del merito creditizio venga influenzata da elementi estranei al processo (quali possono essere le spinte commerciali di cui talvolta si legge anche sulla stampa). Negli uffici crediti delle banche circola una massima di somma saggezza, alla quale tuttavia non sempre e non tutti evidentemente si ispirano: concedere credito non significa vendere un prodotto, ma acquistare un rischio. Questo ci porta a confutare la prima delle diverse tesi populiste che ricorrono nei titoli dei giornali e sembrano avere facile presa su molti dei loro lettori, tanto da venir replicate nelle chiacchiere da bar e da salotto. Quando, periodicamente, si enfatizza una presunta "stretta" creditizia da parte delle banche, ovvero la tendenza a non concedere affidamenti a privati e aziende, additando il sistema bancario al pubblico ludibrio e basandosi talvolta su interpretazioni opinabili dei numeri, bisognerebbe tenere a mente che l'invocata "elasticità" nell'aprire i cordoni della borsa può poi portare per l'appunto a episodi come quelli di cui ci riferiscono le cronache di questi giorni. Credito facile può diventare sinonimo di rischio più elevato e una valutazione non troppo scrupolosa delle operazioni può portare a un incremento delle sofferenze, con impatti non trascurabili sui bilanci degli istituti di credito e, di conseguenza, per le tasche dei loro azionisti. Non va infatti dimenticato, come sembra si stia facendo nell'analisi spicciola contemporanea, che chi acquista un qualsiasi titolo azionario, sia esso quotato o meno sui mercati regolamentati (Borsa Valori), diventa proprietario pro quota dell'azienda in cui ha inteso investire i propri quattrini. Analogamente, chi ha inteso prestare i propri quattrini, acquistando dei titoli obbligazionari emessi dalla medesima azienda, ne diventa creditore. L'investimento azionario da sempre comporta il rischio di perdita totale del capitale investito, così come qualunque prestito incorpora il rischio della mancata restituzione del capitale. Se ne dovrebbero ricordare i numerosi sottoscrittori dei famigerati bond Argentina, Cirio, Parmalat, la cui scelta di investimento fu verosimilmente influenzata anche dalle lucrose cedole garantite dai titoli. Un'altra delle verità che afferiscono più al buonsenso comune che all'analisi finanziaria di un trader della City, è che il rendimento di un titolo obbligazionario è proporzionale al rischio (lo stesso concetto, ribaltato, fa sì che non tutti i debitori sono chiamati a pagare il medesimo tasso d'interesse sui finanziamenti loro accordati, perché diversa è la rischiosità di ciascuno). Vero è che, per la rilevanza tanto a livello economico quanto sul piano sociale dell'attività bancaria, ci devono essere (e ci sono) norme stringenti volte a garantire il corretto funzionamento del sistema e un'adeguata tutela dei risparmiatori, nonché pesi, contrappesi e controllori che devono svolgere (come fanno) severamente i loro compiti di sorveglianza e verifica. Non sempre, tuttavia, questo sistema dimostra di funzionare a dovere, come risulta palese dai fatti di cronaca. Di fronte alla disperazione di chi ha perso i risparmi di una vita e, peggio, di fronte a gesti estremi, l'umana comprensione e la solidarietà sono d'obbligo. Poi però bisogna anche interrogarsi sulle responsabilità. Che a mio parere sono diffuse e condivise. Senza dubbio, la normativa Mifid (per brevità e par condicio si vedano le note che Wikipedia dedica all'argomento), nata con l'obiettivo di accrescere la tutela riservata ai risparmiatori, alla luce dei risultati si dimostra inefficace, specie se le attività connesse si risolvono in pura routine, con la meccanica e poco attenta compilazione dei questionari di profilatura. Sarebbe interessante andare a vedere in tutti quei casi in cui vengono dichiarate perdite di centinaia di migliaia di euro, addirittura pari a tutti i risparmi dell'investitore e connesse a investimenti in azioni o obbligazioni di un medesimo soggetto, se tale concentrazione risulta compatibile con la dichiarata propensione al rischio, se l'operazione era effettivamente adeguata e appropriata e se i sottoscrittori sono stati informati del conflitto d'interessi. In questi casi, da valutarsi singolarmente da chi di competenza, potranno forse anche emergere responsabilità personali del dipendente che ha materialmente gestito l'operazione. Così come potranno eventualmente affiorare condotte imprudenti degli amministratori delle banche finite sulla ribalta, che possono aver influito sul loro dissesto. E nel caso di accertate violazioni delle regole sarà necessario punire i colpevoli. Non va però sottaciuta, a mio parere, la complice superficialità che ancora molte persone dimostrano nel sottoscrivere qualunque pezzo di carta venga loro presentato, senza preoccuparsi di leggere e comprendere quanto vi sta scritto. Non risulta ancora onestamente comprensibile che, malgrado i numerosi casi che vengono rendicontati da anni quotidianamente dai giornali, vi sia ancora chi imprudentemente concentra tutti i propri risparmi su un unico investimento. Non è necessario essere un broker di Wall Street per sapere che è sbagliato puntare tutto su un solo cavallo. Sarebbe sufficiente affidarsi al buonsenso. Quello stesso buonsenso che faceva dire a mio nonno: "Se qualcuno viene a bussare alla tua porta per proporti un affare, sta sicuro che l'affare è per lui!". Pare possibile concludere affermando che, al di là delle eventuali singole responsabilità, che devono essere accertate e sanzionate, anche una maggiore consapevolezza, unita alla giusta dose di prudenza e buon senso, dovrebbero ispirare le scelte finanziarie di risparmiatori che paiono talvolta ancora troppo sprovveduti e sventati.

2 commenti:

  1. Arrevat' Mandrake! Il Niagara si conclude con l'affermazione che prudenza e buon senso dovrebbero ispirare ecc.ecc. Parole che traggono ragione nello specifico e sembrano rivolte a poveri cristi che durante una vita di "mazzo" si erano affidati a persone per bene con le quali in tanti casi condividevano dialetti, conoscenze, riunioni conviviali ecc da tanti anni. Le quali persone per bene ad un certo punto si son viste spinte a proporre cose che a loro facevano vomitare ma che erano necessarie perchè ne andava di mezzo la ripresa delle fortune del loro Istituto. E la spinta veniva da gentaglia che ne aveva fatte di cotte e di crude; che sapeva benissimo che il salvataggio era una chimera e che intanto che la chimera faceva il canto del cigno quasi sicuramente ha fatto qualche altra operazioncina per raschiare il fondo del barile a loro vantaggio approfittando di indicibili coperture. Adesso vi racconto un po. Quando venni assunto nel '60, prima di fare i "253", mi misero a fare i circolari. Ogni fine mese arrivava un vecchietto che ne chiedeva una cinquantina da 50.000 tutti intestati "Mario Rossi" Chiesi in giro e alla fine scoprii che quel vecchietto era un Dipendente che non poteva essere messo in pensione perchè solo lui era il depositario di una lista, aggiornata dal vertice, con i nomi dei dirigenti ai quali dovevano essere girati ogni mese mazzetti di quegli assegni. Massima riservatezza. Esagerando immaginai che se la cosa fosse stata scoperta qualcuno avrebbe rischiato il suicidio. Adesso i qualcuno si beccano milioni di euro e senza alcuna vergogna lo dicono in televisione. Per favore scusate la prosa grezza. Il Niagara mi ha intristito. Francesco De Simone -

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    1. Mi spiace, Francesco, che il Niagara ti abbia intristito. Io i 253 non li ho mai compilati, ma all'inizio della mia avventura professionale anch'io facevo i circolari, con l'Olivetti M10, che oramai si trova soltanto nei musei di informatica. Non so se ho equivocato io il tuo pensiero, ma il mio invito al buonsenso e alla prudenza non è rivolto ai poveri cristi che si son fatti il "mazzo", bensì ai clienti/risparmiatori. Conosco bene i conati di vomito a cui ti riferisci e condivido molta dell'amarezza che emerge dalla tua testimonianza, della quale ti ringrazio. Rimango convinto che, al di là di tutte le regole e le norme che ci sono e che potranno essere introdotte, l'unica efficace autodifesa che ciascun singolo cliente/risparmiatore può adottare consiste nell'informarsi e nel capire bene quello che si sta facendo, coltivando il dubbio, più che affidandosi ciecamente ai consigli di chi si proclama "esperto". E, nel dubbio, ci si astiene. :-)

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