e le note vengono aggiornate di quando in quando)
lunedì 1 febbraio 2016
In file 2016
Nella stalla dei Colonos proseguono i racconti e le testimonianze sul terremoto del 1976. Lo scorso venerdì Angelo Floramo dialogava con il premio Bagutta paolo Maurensig. Il direttore artistico di In file possiede una capacità affabulatoria invidiabile e riesce rapidamente a guadagnarsi la simpatia dell'uditorio. Controlla di tanto in tanto, con nonchalance, gli appunti annotati su un minuscolo taccuino che gli servono a mantenere il ritmo della conversazione. Alle riflessioni serie si alternano le facezie. Come quando racconta che la sera del 6 maggio era in corso una riunione dei sindaci democristiani del medio e basso Friuli. Subito dopo la scossa, appena riavutisi dal panico pare che uno di questi abbia esclamato: le Brigate Rosse! Ci hanno trovato! Non manca neppure lo scoop di metà serata, quando si rievoca la vicenda del fantasma del castello di Colloredo, di cui il nostro ricorda i titoli di cronaca sul Messaggero Veneto dell'epoca. Interviene allora una signora seduta in prima fila per dire che lei sì quella storia la conosce bene. Dopo la prima rovinosa scossa di maggio, sui resti del maniero più testimoni riferivano di avere scorto un'ombra aggirarsi nottetempo. E subito si diffuse la notizia che il posto era infestato da uno spirito inquieto. In realtà, ci informa la teste oculare, il “fantasma” abitava giusto dirimpetto al castello e aveva l'hobby di raccogliere antichità. Per questo, travisandosi con un lenzuolo allo scopo di alimentare la leggenda del fantasma, frugava indisturbato fra le macerie. Il gioco durò poco e il “ricercatore” fu scoperto, Anzi, dice la signora, è ancora vivo e la gente del posto continua a chiamarlo “il fantasma del castello”. Floramo snocciola aneddoti e informazioni curiose a ripetizione, animando la platea. Ricorda l'altra leggenda, di un rito compiuto nel 1476, quando proprio il 6 di maggio un padre esorcista riuscì a rinchiudere centinaia di diavolacci sotto il monte Amariana, con vincolo di rimanerci imprigionati per 500 anni. Non un giorno di più, non un giorno di meno. E cinquecento anni dopo, quei diavoli tutti insieme si sono liberati sconquassando la terra friulana. Sa toccare anche le corde del cuore, il nostro arguto anfitrione, quando ricorda un proprio allievo di scuola superiore, di Gemona, nato qualche giorno prima del sisma. La madre, sepolta con lui sotto le macerie, lo tenne in vita allattandolo fino all'arrivo dei soccorritori e poi spirò. Così quel bambino nacque due volte, la prima da una donna, la seconda dalla terra. E sempre grazie a sua madre. Miti popolari, memorie d'infanzia e battute sagaci per esorcizzare la paura dell'Orcolàt. Come quando si diceva che il monte S. Simone aveva toccato i seni all'Amariana e quella, indispettita, sculettando demolì borghi e città. O come quando Mariute, aiutando il marito a rialzarsi fra i muri crollati di quella che era stata la loro casa, lo avvisa, premorosa: “Checo, son ca chei da la Croce Rossa”. E lui, pronto: “Disighi che 'o vin già dat la stemane passade!”.
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