(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

sabato 6 febbraio 2016

Modello Friuli o Friuli modello?

Qualche giorno fa ho acquistato online il mio primo e-book, sperimentando la praticità della lettura su smartphone durante la pausa pranzo. Il titolo che ho scelto per inaugurare la collezione è “L'ordine politico delle Comunità”, di Adriano Olivetti. Aquistai la versione cartacea del testo in occasione del mio primo viaggio a Ivrea, sulle tracce di Camillo e Adriano. Si tratta di un'edizione 1946 in ottimo stato di conservazione, che custodisco come una reliquia e che finora avevo soltanto sfogliato un paio di volte, temendo di gualcirla. La recente ripubblicazione del testo mi ha spinto ad affrontarne finalmente la lettura. Il termine “comunità” si è sentito ripetere più volte, durante l'ultimo incontro nella stalla dei Colonos. Erano presenti Franceschino Barazzutti, sindaco di Cavazzo Carnico all'epoca del sisma e poi presidente dell'associazione sindaci del terremoto; Lorenzo Cozianin, che l'Olivetti l'ha conosciuta dal di dentro e nel '76, a soli 29 anni, era sindaco a Ragogna; Roberto Dominici, ex assessore regionale alla ricostruzione. Ritrovatisi a Villacaccia per indagare il modello friulano della ricostruzione. Per la prima volta nella storia della Repubblica, in occasione del sisma che devastò la terra friulana, lo Stato delegò alla Regione alcune sue competenze. E la Regione fece lo stesso con i Comuni. Tutto ciò fu reso possibile grazie a una straordinaria mobilitazione di popolo, un fecondo esercizio di partecipazione sviluppato fin dalle prime ore successive alle scosse del 6 maggio che riuscì a travolgere con la propria energia politici, burocrati e amministratori, con il quale la gente ottenne di svolgere un ruolo da protagonista nella costruzione del proprio futuro. L'ultima volta che vidi pre Gilberto Pressacco fu in una rassegna intitolata “Sot il Tei” (Sotto il Tiglio), a Moruzzo, che si richiamava all'antica consuetudine delle vicinie, quando i capifamiglia si riunivano, appunto sotto i tigli, per discutere e prendere le decisioni che riguardavano la comunità. E' grazie a questo senso di comunità ancora così forte a quel tempo che fu possibile responsabilizzare direttamente i Comuni, e quindi la int. La gente aveva peraltro piena consapevolezza delle proprie capacità. In questo senso andrebbe inteso lo slogan Fasin di bessôi: siamo in grado di farcela, siamo carpentieri, muratori, elettricisti, possiamo aiutarci vicendevolmente, se l'ente pubblico ci mette nelle condizioni di poterci arrangiare. Il forte senso della comunità chiarisce il significato profondo di un altro degli slogan che allora circolavano: dov'era e com'era. L'ipotesi di realizzare una grande dorsale urbana Udine-Pordenone, lasciando perdere la ricostruzione dei piccoli borghi rurali dispersi a ventaglio in tutta l'area disastrata, partorì dal cinismo dei tecnici, che la consideravano una soluzione molto più economica e più agevole da attuare. Ma la int pretese con fiera determinazione di ricreare il proprio ambiente sociale, per riallacciare, dov'erano e com'erano, quelle relazioni umane da cui scaturì la grande solidarietà di quei giorni. Prima le fabbriche, poi le case, infine le chiese. Questo slogan programmatico ebbe il pieno sostegno della Chiesa locale, oltre che degli Amministratori pubblici. A metà degli anni '70 in Friuli era ancora vivo il ricordo dell'emigrazione in Paesi lontani alla ricerca di quella fortuna economica che la propria terra non era in grado di offrire. La prima industrializzazione fiorì proprio in quel tempo, e la int si rendeva conto che senza un lavoro che gli garantisse una sopravvivenza dignitosa non aveva senso ricostruire le case. Nel constatare quanto sia diversa la gente friulana attuale da quella di 40 anni fa, di come siano cambiati i rapporti interpersonali, di quanto si sentano distanti i cittadini di oggi dalle istituzioni di ogni livello, l'invito appassionato che è venuto da tutti i relatori presenti nella stalla dei Colonos è di riappropriarsi del ruolo di cittadinanza attraverso una partecipazione responsabile. Mai come in questi giorni di crisi (che è principalmente crisi di idee e di valori, dalla quale in buona parte discendono le difficoltà economiche che stiamo affrontando) risulta necessario riscoprire il senso della comunità e riallacciare quei vincoli di solidarietà ormai a molti sconosciuti. Questi inossidabili testimoni e protagonisti di una straordinaria stagione divenuta caso di studio per le accademie di mezzo mondo ci esortano a riscoprire il nostro senso di appartenenza per innescare un processo virtuoso di sviluppo prima di tutto sociale, ma necessariamente poi anche politico, per poter infine riguadagnare quel livello di tranquillità economica che ora avvertiamo tutti come assai precario.

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