(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

mercoledì 16 marzo 2016

Vedi Napoli e poi... torni! (2)


La spremuta di melograno, consumata ai tavolini di fronte all'Orientale, sta diventando un rito quotidiano. C'ero stato ieri, di ritorno dalla Cappella Sansevero, e ho replicato oggi, rientrando da S. Gregorio Armeno. La mattina riparte da piazza Bellini, con quell'angolo di Parigi in pieno centro di Napoli. Seguendo i gorgheggi di un'aspiratne soprano, che provenivano dal Regio Conservatorio di Musica, mi avvio verso via Tribunali. Il decumano maggiore della città antica. Le cavità sotterranee hanno un fascino ancestrale. Cave tufacee in età greca, poi cisterne romane e infine rifugio antiaereo durante l'ultima guerra. Scopro finalmente la leggenda d' 'o munaciello. Che è figura abbinata al pozzaro, l'operaio che si calava nelle cisterne attraverso i pozzi per curarne una sommaria pulizia. Si narra che 'o munaciello/pozzaro si procurasse nelle case degli uni le gioie di cui far dono alle mogli degli altri, allo scopo di ottenerne (da isse) le grazie muliebri. La nostra giovane guida ci informa che il mestiere di questo moderno idraulico in Toscana si definisce “trombaio”. Attraverso stretti cunicoli in cui si deve procedere tenendosi di profilo e alla luce di una candela, raggiungiamo alcune vasche riempite d'acqua, che rendono l'ambiente suggestivo. Grazie alla rilevante percentuale di umidità e alla temperatura costante che si trova nelle grotte, da un anno i volontari dell'associazione che se ne sono presi cura, in collaborazione con l'università, stanno coltivando delle piante da interno. Senza annaffiarle. La luce artificiale, fornita da potenti lampade, è dosata da un timer per riprodurre il ciclo naturale della superficie. C'è anche una distesa di basilico che raccoglie esclamazioni di giubilo da parte di uno dei nostri improvvisati speleologi in vacanza, che arriva da Genova. Sul percorso icontriamo anche un mezzo blindato germanico in sosta pluridecennale (che è stato ovviamente rimontato sul posto, pezzo per pezzo). Apprendo che, oltre a S. Gennaro, la città vanta una compatrona, S. Patrizia, la quale, a dispetto dell'omologo maschile, si produce nella liquefazione del sangue con frequenza settimanale.

“Signorinella pallida, dolce dirimpettaia del quinto piano, non v'è una notte ch'io non sogni Napoli, e son vent'anni che ne sto lontano.”
Ho acquistato qualche spartito d'epoca a un banchetto con l'ennesimo vecchierello, sulla strada. Nel “Metodo Anzaghi per fisarmonica”, sul quale mi sono esercitato agli inizi della mia carriera musicale, a fianco alle arie verdiane, al Guglielmo Tell di Rossini, all'Ave Maria di Gounod e al “Largo” di Haendel (dall'opera “Serse”), la tradizione canora napoletana non mancava. Fu allora che imparai Core 'ngrato, Marechiare, Funicolì funicolà. In tv andavano in onda le sceneggiate napoletane di Mario Merola, Ciccio Formaggio che protestava perché gli tagliavano 'e pizze d' 'a paglietta, e i brani scanzonati e ironici di Renato Carosone. Poi fu un percorso di ricerca personale che mi portò a Robertino Murolo, in una ricerca appassionata della tradizione. Nel bookshop di Santa Chiara le canzoni di Roberto Murolo fanno da sottofondo delicato e accompagnano con garbo il turista curioso. Ma in tutta la città risuona l'eco di una tradizione ricchissima di sentimenti ed emozioni autentiche. A conclusione della visita ipogea si va dalle Sorelle Bandiera a mangiare la pizza geotermica. Nelle cantine in tufo si sviluppa un caratteristico microclima, che pare favorisca la maturazione dell'impasto per la pizza, migliorandone la digeribilità. Diretto a Spaccanapoli, attraverso tutta la via San Gregorio Armeno, con la teoria di statuine p' 'o presepe vestite di panni veri, piccoli capolavori di terracotta, macchine semoventi in miniatura, con donne che lavano i panni, falegnami che segano assi e fontanelle scroscianti. Il cameriere delle Sorelle Bandiera ci ha tenuto a farmi sapere che l'autore del volumetto che tenevo sul tavolo per proseguirne la lettura (Quanno ce vo, ce vo!) è suo cognato: “Tiene 'a capa cchiù tosta 'e 'na guantiera 'e roccocò!”

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