Per la serie: una ciliegia tira l'altra. Al termine della visita al laboratorio delle vetrate artistiche, la mia raffinata anfitriona mi raccomanda di far due passi fino al museo-laboratorio tessile di un'amica sua. Laboremos jucunde, recita il sottotitolo del volantino. Arrivarci non è proprio una passeggiata... Partendo dall'Arco Etrusco, m'inerpico su corso Garibaldi e lo percorro per intero fino in fondo, per poi scendere da via Faina alla ricerca di quest'altra prelibatezza. Prendi una chiesa del XIII secolo, primo insediamento francescano in città, completa del suo bel campanile, mettici alcuni telai meccanici jacquard della prima metà dell'Ottocento, aggiungi la tenacia di una dinastia femminile determinata a portare avanti una tradizione antica, lottando con ispettori dell'INAIL e gli studi di settore, e il gioco è fatto. La mia giovane ospite mi dà una veloce dimostrazione di come funzionano questi vecchi telai alimentati da schede perforate di cartone, lasciandomi libero di curiosare nell'ampia... navata dello stabilimento. Non senza ribadire (se ce ne fosse ancora bisogno) quanto l'anticlericalismo sia radicato nei perugini. La città, dice l'agguerrita tessitrice, nel Medioevo prosperava grazie alla produzione di tessuti che possiamo ritrovare ritratti da tutti i principali artisti nei loro affreschi e dipinti. Fu il Papa, una volta ottenuto il dominio su Perugia, a smantellare deliberatamente quella florida industria artigianale diffusa, allo scopo di affamare l'indomita popolazione e poterla così più facilmente soggiogare (così, l'agguerrita...). Mentre la ascolto, a me ritorna in mente il monumento al XX giugno che i perugini eressero nei giardini del Frontone, dove un grifone bronzeo schiaccia sotto il suo artiglio una tiara papale.
Altra mattinata full immersion al Brufani, dove l'ennesimo tecno-leguleio ci aggiorna sull'impiego dei trojan nelle indagini di polizia giudiziaria (e non solo). Inoculare un “agente attivo” nel device del soggetto target (smartphone, ma anche smart-tv) ormai non è più così difficile. Anzi, a dire il vero non è mai stata un'operazione complicata. Le più sofisticate e inattaccabili tecniche di cifratura a nulla possono se mi vado a prendere l'audio direttamente alla fonte (il microfono e l'auricolare del telefono). Realizzare una perquisizione informatica, un'intercettazione o un sequestro di file (una volta ottenute le necessarie autorizzazioni) è un gioco da ragazzi. Skype è intercettabile dal 2006. Altro interessante speech (in questi contesti l'anglofilia assume i connotati di un virus) riguarda “L'odio on line”. Mai come ai giorni nostri ci rendiamo conto che l'odio è diventato merce di scambio che genera profitto. L'odio viene alimentato e diffuso per mobilitare le masse. La paura si vende sul mercato del consenso. Nei confronti del hate speech vi è tuttavia un atteggiamento diverso a seconda delle latitudini. I paesi europei, reduci dagli orrori provocati dalle dittature del secolo scorso, tendono a perseguirlo, con leggi che puniscono chi istiga all'odio e alla violenza. Oltre Atlantico, invece, la tutela del free speech prevale, e la libertà di espressione viene comunque garantita, a prescindere dai contenuti, escludendo ogni ingerenza del governo.
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