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e le note vengono aggiornate di quando in quando)

domenica 8 gennaio 2017

“Dove eravamo rimasti?”

Con queste parole Enzo Tortora emerse da uno scroscio di applausi che pareva non voler più terminare. Il pubblico del venerdì sera accoglieva all'impiedi il popolare conduttore di “Portobello” travolgendolo con un abbraccio affettuoso e chi lo seguiva da casa si fece prendere da un nodo alla gola. Tortora seppe vincere l'emozione e riuscì a ricambiare con uno dei suoi sorrisi da persona perbene. La scena appartiene alla trasmissione che segna il suo ritorno in TV dopo una tragica disavventura che pareva essersi finalmente risolta e si può rivedere anche online (questo il link del video https://www.youtube.com/watch?v=fTOKnzf0Ask). Enzo Tortora finì in carcere in seguito ad accuse poi rivelatesi false e, fra gli errori commessi dalla giustizia italiana, il suo è forse il caso più conosciuto. La sua foto in manette fra due carabinieri occupò le pagine di tutti i quotidiani, rotocalchi e schermi televisivi. A un anno dall'assoluzione definitiva, pronunciata dalla Corte di Cassazione, Enzo Tortora morì di tumore. A fronte di un caso di malagiustizia riconosciuto, anche grazie alla popolarità della vittima, chi può dire quanti siano gli errori mai sanati, quante siano le vite incolpevoli sconvolte e segnate per sempre da simili disavventure giudiziarie? Qualche trafiletto, di tanto in tanto, ne dà conto sui giornali. Chi mai potrà restituire a questi sfortunati serenità e fiducia? “Sono innocente” è una trasmissione che sta andando in onda su Rai 3 per raccogliere le testimonianze di altri protagonisti “minori” di casi analoghi. Famiglie comuni che all'improvviso si ritrovano squassata la routine quotidiana dalla violenza di un tornado, facce incredule e smarrite di fronte all'enormità di accuse che soltanto i protagonisti ben sanno essere infondate, paura e dolore. Nella puntata di ieri sera due storie in cui sono principalmente coinvolti genitori e figli. Un piccolo imprenditore veneto salvato dalla tenacia del figlio, che con l'aiuto di un legale è riuscito a smontare le accuse e a tirare fuori dal carcere di massima sicurezza il proprio congiunto e una giovane studentessa universitaria siciliana che voleva fare il magistrato, accusata di rapina e tentato omicidio, finalmente liberata grazie all'intraprendenza dei familiari e alla lucidità di un cugino avvocato. Se a chiunque fra noi venisse chiesto di ricordare dov'era e che cosa ha fatto in un determinato giorno di alcuni mesi addietro, quanti, onestamente, saprebbero rispondere? Perché la giustizia non si accontenta della rispettabilità di una faccia pulita e della testimonianza benevola dei conoscenti. Ci vogliono alibi, prove documentali, riscontri oggettivi. La giovane studentessa universitaria, che ha ormai abbandonato ogni aspirazione a vestire la toga, confessa che ora conserva gli scontrini della spesa e annota quotidianamente su un taccuino ogni cosa che fa. E il contesto sociale molto spesso aggiunge al dolore della tragedia la sanzione dell'ostracismo e della berlina, ergendosi a giudice a suon di tweet e pubblicando commenti in cui le sentenze vengono emesse sulla base delle proprie personali convinzioni o per la suggestione provocata da un titolo di giornale ad effetto.
«Quando l'opinione pubblica appare divisa su un qualche clamoroso caso giudiziario - divisa in "innocentisti" e "colpevolisti" - in effetti la divisione non avviene sulla conoscenza degli elementi processuali a carico dell'imputato o a suo favore, ma per impressioni di simpatia o antipatia. Come uno scommettere su una partita di calcio o su una corsa di cavalli. Il caso Tortora è in questo senso esemplare: coloro che detestavano i programmi televisivi condotti da lui, desideravano fosse condannato; coloro che invece a quei programmi erano affezionati, lo volevano assolto.»

Leonardo Sciascia.

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