e le note vengono aggiornate di quando in quando)
martedì 26 settembre 2017
Arditi di ieri e di oggi
"Il ventinove luglio/quando si taglia il grano/è nato un fiero ardito/con un petardo in mano /Bin, bon, ban". Gli Arditi nacquero il 29 luglio 1917 a Sdricchia di Manzano da un'idea del maggiore Giuseppe Alberto Bassi, classe 1884, udinese. In prossimità del centenario di Caporetto (24/10/1917), devo al sempre ottimo Paolo Medeossi queste informazioni per me succulente. Soldati agili e veloci, con le mostrine nere. Volontari con particolari doti psicofisiche, integrate da uno specifico addestramento e con armamento leggero costituito da bombe a mano e pistole mitragliatrici. Mentre leggo il Messaggero Veneto di oggi, il pensiero torna veloce al nonno "Tone", il nonno materno della campagna d'Africa, da cui riportò souvenir per me sempre stati preziosi. Nella Grande Guerra "Tone" era stato un Ardito e in paese la qualifica lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, assieme ai galloni di sergente maggiore conquistati sul campo e al cavalierato di Vittorio Veneto di investitura presidenziale.
lunedì 25 settembre 2017
Il riposino pomeridiano
Intimoriti dalla piega che presero i fatti, specie nelle grandi città industriali del settentrione, dal '68 in avanti, i miei genitori nel 1970 si trasferirono a Pordenone. Piazza Carducci, quartiere di Villanova. Un appartamento in affitto, in attesa della casa dei sogni, dove poter allevare galline e conigli e coltivare la terra nei fine settimana. L'accoglienza del neonato capoluogo di provincia non fu delle migliori. Al risveglio, in un giorno qualunque, mio padre ebbe la sorpresa di non trovare più il suo autocarro, che per forza di cose la notte doveva lasciare incustodito sulla strada, sotto casa. Fonte di sostentamento per l'intera famiglia. Il mezzo fu impiegato per compiere un furto e, per fortuna, ritrovato di lì a breve dai carabinieri. In quel tempo il giovane di casa trascorreva le sue giornate all'asilo Santin, che sorgeva di fronte all'omonimo hotel, là dove ora trovan posto gli uffici dell'Italgas.
sabato 23 settembre 2017
La Prima Portinaia
Due anni fa tornai per una settimana a Torino per ragioni di lavoro. La banca mantiene nel comune di Moncalieri uno dei suoi mega centri elettronici con qualche migliaio di dipendenti, incluso l'asilo interno per i loro figli più piccini. Dalla stazione di Porta Nuova passano ogni mattina alcune navette aziendali che fanno la spola con Moncalieri e altrettante in senso contrario la sera riportano a casa i lavoratori del credito. Col tragitto mattutino ripercorrevo dunque tutta via Nizza, superando il Lingotto per poi traguardare l'ospedale delle Molinette, che mi diede i natali. Quando arrivavo all'altezza del civico 141 mi saliva regolarmente un groppo in gola: lì si era svolta per alcuni anni la vita della mia famiglia. Al rientro serale, invece, lungo via Madama Cristina si incrociano via Millefonti e via Tèpice. In via Tèpice abitava Marcella, la tata a cui mia madre mi affidava di tanto in tanto per poter lavorare senza l'assillo di dover allo stesso tempo badare anche a me.
venerdì 22 settembre 2017
Sono soltanto parole
Fra di loro i miei genitori han sempre parlato nel friulano di Claut, che è più aspro e cavernoso del folpo che si parla a Cordenons, mentre a me si rivolgevano abitualmente in italiano, fatte salve le invettive. Dato che la valle non ha mai offerto grandi possibilità di lavoro, i clautani sono abituati a emigrare per cercar fortuna, in Italia e all'estero. Agli inizi del secolo scorso molti di loro, in genere le donne, si inventarono venditori ambulanti e percorsero a piedi distanze che oggi giudicheremmo irraggiungibili. Così fecero anche le mie nonne, portandosi appresso i figlioli più grandi e pesanti sacchi di juta ricolmi degli utensili che gli uomini avevano intagliato nel legno durante l'inverno. Queste donne avevano elaborato una sorta di linguaggio in codice per comunicare fra loro senza essere intese dagli estranei,
martedì 19 settembre 2017
Biel lant atôr
Lasciata alle spalle la Bràida e guadagnata la vicina ancona posta a presidio del crocicchio, da lì si snoda una sinuosa stradina che porta alla regionale per Spilimbergo. Ai suoi lati s'incontrano lacerti di vecchi muretti in sasso usi a cingere le cente e qualche rara casa. La stretta striscia di asfalto inizia a fendere poi per un tratto non breve una rigogliosa vegetazione priva di tracce umane, che par di entrare in un'altra dimensione. E in quell'oasi di natura e silenzio ci si smarrisce volentieri. Al termine dell'oblio conviene ritrovare presto i sensi, perché l'innesto con la trafficata camionabile non consente distrazioni. Si sbuca in prossimità del Santuario che il popolo conosce come "Madonna di strada" (i meno devoti noteranno più facilmente lo storico ristorante "Edelweiss"). Scrive Pier Carlo Begotti, in un saggio inserito nel monumentale volume "Fanna - La sua terra, la sua gente", dato alle stampe giusto diec'anni orsono:
domenica 17 settembre 2017
Co ierimo putei
Dalla soffitta delle meraviglie, che custodisce tesori i inimmaginabili accumulati nel corso di più vite, ho tratto un radioregistratore. Sì, proprio di quelli ancora in grado di riprodurre le antiche musicassette. Di quelli che, nel riprodurle, riuscivano accidentalmente a svolgerne il nastro, sfuggito alla custodia plastica come un'interminabile anguilla magnetica. E per riavvolgerlo si usava la penna Bic. Con tanta pazienza. La radio funziona ancora bene. Musicassette a portata di mano non ne ho, ma ne recupererò qualcuna per testarlo. Casualmente la sintonia si è tarata sulle frequenze della radio regionale, che la domenica mattina trasmette ancora "Vita nei campi". La musica della sigla è sempre quella da almeno trent'anni e così i jingle introduttivi delle singole rubriche: allegre marcette e vezzosi valzerini da sagra d'altri tempi, di quelle feste paesane in cui l'orchestra di Secondo Casadei suonava in acustico
sabato 16 settembre 2017
Zorro e lo strucolo de pomi
Se non ricordo male fu sempre il mio primo Vicino/Lontano, a Udine, che mi permise di conoscere Anna Maria Mori, intervenuta per presentare il suo libro "Nata in Istria". L'emozionante prova di impegno autobiografico della giornalista inizia presentando l'anziana madre, malata di Alzheimer, che la figlia accudisce. L'autrice fa un lavoro di recupero delle memorie familiari, offrendoci la storia di una delle tante famiglie di esuli istriani che dovettero abbandonare la propria terra, la casa, gli affetti, i morti perfino, a causa del perverso concatenarsi degli eventi storici. Travolta da uno tsunami che la sconvolge, Anna Maria si ritrova a cercare in ogni modo di rinverdire i ricordi dell'anziana genitrice. Lo smarrimento iniziale, la frustrazione di veder cadere nel vuoto ogni tentativo di recupero della sua memoria vengono superati quando si accende l'idea di "rimettere le mani in pasta", rispolverando una ricetta semplice della tradizione. "Dai, mama, fazemo lo strucolo de pomi!".
venerdì 15 settembre 2017
Il caso non esiste
Quelle che noi chiamiamo "coincidenze" sono in realtà "risorgive": vi è un disegno preordinato e misterioso che scorre nel sottosuolo delle nostre esistenze e assume la forma di una rete di fiumi carsici. Una rete impalpabile che tiene uniti nodi spazio-temporali apparentemente scollegati. Ennesima prova della nostra pochezza all'interno del Cosmo. Nel dicembre del 1990 mia madre era a letto immobilizzata e lo sarebbe rimasta per i successivi tre mesi. Era stata investita da un'auto mentre con la sua bicicletta solcava sicura le vie di Pordenone in quel brutto incrocio all'altezza delle casermette di via Molinari. L'investitirice stava andando al lavoro, al vicino ospedale civile.
giovedì 14 settembre 2017
Ad altiora nati sumus
Nel dicembre del 1990 mi accingevo a dare uno degli esami che costellavano la carriera dei Collaboratori di una Signora Banca, che oramai vive soltanto nel ricordo di coloro che hanno avuto il privilegio di farne parte e alla quale gli attuali succedanei non sarebbero nemmen degni di allacciare i calzari (me la tiro, lo so, ma ne ho ben donde). Una volta superata la prova, a coronamento di tre anni di formazione itinerante svolta sul campo in numerose filiali dislocate sul territorio nazionale, e inframmezzata da corsi di cui oggi si è persa memoria, di quelli tenuti da formatori veri, durante i quali bisognava studiare sul serio perché le materie presentavano complessità tecniche, giuridiche, procedurali e di normativa interna (che nel tempo si sono moltiplicate...), fui finalmente ammesso al cospetto del capo di Organizzazione.
lunedì 11 settembre 2017
Il micio appendino
Il micio appendino ha un fratello gemello. Entrambi sono frutto della mia mattiniera incursione in un negozietto poco distante dalla chiesa di San Francesco, a Udine. Era il mio primo Vicino/Lontano, quando incontrai Shirin Ebadi, leonessa di Persia, feci la conoscenza con "l'amico Isaias" e mi gustai alcuni esilaranti filmati made in Romania, che se ci penso, ancora mi scompiscio. Tanto per darne un assaggio, citerò l'episodio della problematica uccisione del maiale, che venne infine rinchiuso nella cucina di un appartamento trasformata in camera a gas. Una volta accertatisi che la bestia era morta il locale fu arieggiato per consentire l'ingresso ai carnefici. Dopo l'esecuzione occorreva scotennarlo e qualcuno ebbe l'idea di passare un cannello acceso sul corpo dell'animale, gonfio di gas come una zampogna. L'esplosione demolì mezzo palazzo.
domenica 10 settembre 2017
Giustina Caffettiera
Era il dicembre del 1989 e la filiale COMIT di Udine mi ebbe in dote per i soliti due/tre mesi di addestramento/sfruttamento. I "carichi DC", ossia il personale nomade a carico della Direzione Centrale della Banca, il cui costo non gravava sul bilancio delle filiali, erano tradizionalmente più disponibili, mediamente più preparati e di gran lunga più motivati dei colleghi "stanziali". Insomma, un corpo d'élite, selezionato e monitorato con l'attenzione che merita una classe dirigente in formazione. Si approssimava il Natale, e con le festività anche il tempo dei regali. In piazza San Giacomo mi concessi il mio primo e unico capo Missoni, un gilettino di lana che a quasi trent'anni di distanza fa ancora la sua splendida figura (e meno male, considerato l'investimento...).
sabato 9 settembre 2017
Fanna
L'hanno ribattezzato "Curtîf barbeirs", con una di quelle targhe metalliche dallo sfondo marrone. Era la casa di Lino, il Figaro che ha accompagnato la mia infanzia. Quando il terremoto del 1976 distrusse anche la sua bottega, Lino continuò ad accorciare capelli e spuntare mustacchi in un prefabbricato sistemato nel cortile di casa. Del suo locale si era salvata l'insegna, che trovò posto sopra l'ingresso del prefabbricato. Ora è ancora là, un po' discosta dato che la barberia non è più in esercizio, pegno d'affetto di chi lo ricorda.
giovedì 7 settembre 2017
Veglie
Le notti di guardia in Charlie Bravo erano gelide e interminabili. Charlie Bravo è la caserma di Aosta intitolata a Cesare Battisti dov'erano acquartierati i due battaglioni AUC della SMALP. Nell'alfabeto fonetico NATO, in uso ai militari dei Paesi occidentali, la lettera “C” è “Charlie” e la “B” corrisponde a “Bravo”. Gli Allievi Ufficiali di Complemento della Scuola Militare Alpina lo imparavano fin dai primi giorni di corso. Quando in Italia esisteva ancora la leva obbligatoria, alcuni selezionati giovanotti in età da militare potevano offrirsi volontari per frequentare un corso della durata di cinque mesi e mezzo, al termine dei quali i superstiti avrebbero potuto fregiarsi della stelletta da sottotenente ed entrare così nel rango dei Signori Ufficiali, se pur soltanto per i successivi dieci mesi. A questi ufficiali ragazzini in servizio di leva era assegnato il grado più basso nella categoria degli “ufficiali inferiori”,
mercoledì 6 settembre 2017
Oremus et pro perfidis Judaeis
”Superata la porta [Furlana], sulla destra troviamo l'Osteria del Gallo, […] Proprio all'ingresso dell'edificio attuale, ricostruito appunto dopo il 1918, troviamo una calle, ancora pavimentata con sassi di fiume che snodandosi in salita porta sul retro del duomo di San Marco. […] La calle è nota anche come “calle degli ebrei” (o Ruga Conchona) perché conduceva alle abitazioni nelle quali risiedevano appunto i pochi ebrei di Pordenone. Non un vero e proprio ghetto, che non c'è mai stato a Pordenone, ma un modo di abitare tutti assieme, anche per proteggersi a vicenda. Va ricordato che la loro presenza a Pordenone è sempre stata, numericamente, trascurabile, nonostante gli Statuti della città li proteggessero,
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