Intimoriti dalla piega che presero i fatti, specie nelle grandi città industriali del settentrione, dal '68 in avanti, i miei genitori nel 1970 si trasferirono a Pordenone. Piazza Carducci, quartiere di Villanova. Un appartamento in affitto, in attesa della casa dei sogni, dove poter allevare galline e conigli e coltivare la terra nei fine settimana. L'accoglienza del neonato capoluogo di provincia non fu delle migliori. Al risveglio, in un giorno qualunque, mio padre ebbe la sorpresa di non trovare più il suo autocarro, che per forza di cose la notte doveva lasciare incustodito sulla strada, sotto casa. Fonte di sostentamento per l'intera famiglia. Il mezzo fu impiegato per compiere un furto e, per fortuna, ritrovato di lì a breve dai carabinieri. In quel tempo il giovane di casa trascorreva le sue giornate all'asilo Santin, che sorgeva di fronte all'omonimo hotel, là dove ora trovan posto gli uffici dell'Italgas. Abitudine consolidata di quel luogo di contenzione era di costringere i propri ospiti al riposino pomeridiano, pratica vieppiú invisa al nostro. C'era però una possibilità di sottrarsi all'infame supplizio. Poiché l'asilo non disponeva di cucina, la refezione arrivava da altro istituto di pena meglio attrezzato e, concluso il pranzo, occorreva ogni giorno restituire le stoviglie affinché fossero sanificate per il successivo reimpiego. Era così concesso a due dei reclusi, a turno, di accompagnare il carretto dell'inserviente fino a destino, allo scopo di aiutarlo nell'incombenza. Mentre il carretto veniva vuotato, in realtà i giovani famigli avevano la possibilità di svagarsi nel giardino, a dispetto dei loro compagni intenti al riposo forzato. In quel giardino trovava posto una giostrina, semplice semplice, per infanti. Dal perno centrale della giostra si dipartivano alcuni raggi metallici atti a sorreggere dei seggiolini, dove i bambini normali avrebbero potuto star comodi mentre qualcun altro a forza di braccia poteva imprimere il necessario moto circolare. Ma il nostro non è mai stato persona banale, da accontentarsi di usare le cose per quella che è la funzione che altri hanno pensata per loro. Assieme al suo compagno di viaggio, quindi, si ideò la seguente originale variante. Mentre uno stava appollaiato sul perno centrale, l'altro avrebbe fatto girare la giostra. L'abilità stava nel sollevare le gambine man mano che i raggi giravano, così da inserirle e sollevarle sistematicamente nei vuoti a scavallare le barre metalliche. Se non chè, aumentando la velocità di rotazione, l'esercizio divenne sempre più arduo e a un certo punto una delle gambine non fece in tempo a sollevarsi, mentre la giostra continuava inesorabile il suo giro. E fu così che lacrime, urla e disperazione fecero da premessa a un'ingessatura resasi necessaria per ricomporre la frazione.
Ora che il riposino pomeridiano di mia madre sarebbe per me una rigenerante pausa, momento di necessario ristoro dalle quotidiane fatiche, mi trovo a scoprirla altrettanto recalcitrante, ostinatamente restia tale quale alla piccola peste dalla gamba di gesso. L'urgenza di fare, dalle prime luci dell'alba fino al tramonto, non dà segno di abbandonarla, a costo di rispolverare e spazzare decine di volte gli stessi mobili, gli stessi pavimenti. Quasi che il riposo fosse un inaccettabile spreco di tempo, e l'inattività un insopportabile marchio d'infamia. Nelle sessioni di acquisti al supermercato la sua attenzione è rivolta invariabilmente al detersivo per lavatrice, al sapone da bucato, agli strofinacci, insomma a tutto l'occorrente affinché da casa venga espunto il più minuto granello di polvere. E quelle volte che si trova costretta a cedere alla stanchezza, a ogni improvviso risveglio il suo primo pensiero va allo spazzolone.
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