Due anni fa tornai per una settimana a Torino per ragioni di lavoro. La banca mantiene nel comune di Moncalieri uno dei suoi mega centri elettronici con qualche migliaio di dipendenti, incluso l'asilo interno per i loro figli più piccini. Dalla stazione di Porta Nuova passano ogni mattina alcune navette aziendali che fanno la spola con Moncalieri e altrettante in senso contrario la sera riportano a casa i lavoratori del credito. Col tragitto mattutino ripercorrevo dunque tutta via Nizza, superando il Lingotto per poi traguardare l'ospedale delle Molinette, che mi diede i natali. Quando arrivavo all'altezza del civico 141 mi saliva regolarmente un groppo in gola: lì si era svolta per alcuni anni la vita della mia famiglia. Al rientro serale, invece, lungo via Madama Cristina si incrociano via Millefonti e via Tèpice. In via Tèpice abitava Marcella, la tata a cui mia madre mi affidava di tanto in tanto per poter lavorare senza l'assillo di dover allo stesso tempo badare anche a me. In via Millefonti i miei genitori avevano acquistato un appartamento dove avevano vissuto i primi anni della loro avventura torinese. Quando però mia madre ottenne la Portineria, l'appartamento di Via Millefonti fu dato in affitto e i miei si trasferirono nel minuscolo locale di servizio che spettava alla portinaia. Cucina abitabile e camera da letto, in cui ben presto si dovette far in modo di farci stare anche me. Lo stabile alloggiava una cinquantina di famiglie e il lavoro della portinaia era davvero pesante, considerando che per i primi tempi non le era ancora concessa la giornata di riposo. Era l'Italia dei primi anni Sessanta. La Torino operaia della Fiat di Valletta. Mio padre aveva il suo lavoro, ma non mancava di dare una mano in portineria. La cucina abitabile in cui sono ambientate alcune fotografie di famiglia aveva le pareti foderate di piastrelle gialle da 10 posate in diagonale. Mia madre aveva avuto una soffiata da una compaesana già sistemata da tempo nel vicino Corso Dante: in via Nizza ci sarebbe presto stata disponibile una portineria, che all'epoca veniva considerata un'opportunità di lavoro appetibile e contesa. Senza indugio lei si presentò allora in cantiere, mentre il palazzo era ancora in costruzione, a proporsi al proprietario come candidata e divenne quindi la Prima Portinaia del 141.
Con mia madre tornammo a Torino in diverse occasioni, avendo mantenuto là numerosi amici e compaesani dei miei che si offrivano volentieri di ospitarci. La prima volta fu nel 1978, ben due settimane con la scusa dell'ostensione della Sindone, durante le quali i nostri splendidi ospiti mi fecero visitare di tutto e di più. La Superga del Grande Torino, dove uno dei cognomi ripo reati sulla lapide è Grava e appartiene a un giovane giocatore originario di Claut; il Museo egizio, il giardino zoologico, Palazzo Reale, Stupinigi, il Valentino col suo falso borgo medievale per me comunque così magico, con la fontana del melograno e le mura merlate. Il 1998 fu un viaggio particolare. Altra ostensione, ma soprattutto il bisogno di riossigenrarci entrambi dopo la morte di mio padre. Fu in quella occasione che tornammo in Portineria per la prima volta. Resistevano ancora un paio delle famiglie "storiche". Quando chiedemmo di poter entrare alla nuova titolare dell'incarico, una volta spiegato chi fosse mia madre, sul suo viso balenò un'espressione di meraviglia: occhi spalancati e bocca aperta. "Ahhhh, ma allora è lei QUELLA portinaia!". A quasi quarant'anni di distanza la sua leggenda aleggiava ancora tra i pianerottoli del 141. Il soggiorno successivo risale al 2001. L'undici settembre eravamo appena rientrati dal Museo del cinema, alla Mole Antonelliana, quando vedemmo alla tv le sconvolgenti immagini dell'impatto di un aereo di linea su una delle due torri gemelle di New York. Quando, poco dopo, fu la volta del secondo aereo, capii che non si trattava di un incidente. Era un lunedì, il primo giorno della nostra vacanza. Nei giorni successivi non avevamo proprio voglia di fare i turisti e restammo in casa a chiacchierare. Io ne approfittai per leggere e rileggere, fino a comprendere abbastanza bene lo svolgimento dei fatti, la trascrizione dello spettacolo di Marco Paolini sul Vajont. E poi due anni fa, da solo, con l'emozione che quasi mi impediva di parlare, citofonai al 141. Un'occhiata veloce, giusto due parole con gli attuali titolari della guardiola (che ancora serbavano memoria della leggenda della Prima Portinaia). Nel venire ad accogliermi all'ingresso avevano lasciato aperta la porta dell'alloggio di servizio e io non potei fare a meno di sbirciare. Quelle piastrelle gialle da 10 posate in diagonale erano ancora lì.
Nessun commento:
Posta un commento
se sei un utente anonimo, ricorda di aggiungere in calce il tuo nome ;-)