(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

mercoledì 6 settembre 2017

Oremus et pro perfidis Judaeis

”Superata la porta [Furlana], sulla destra troviamo l'Osteria del Gallo, […] Proprio all'ingresso dell'edificio attuale, ricostruito appunto dopo il 1918, troviamo una calle, ancora pavimentata con sassi di fiume che snodandosi in salita porta sul retro del duomo di San Marco. […] La calle è nota anche come “calle degli ebrei” (o Ruga Conchona) perché conduceva alle abitazioni nelle quali risiedevano appunto i pochi ebrei di Pordenone. Non un vero e proprio ghetto, che non c'è mai stato a Pordenone, ma un modo di abitare tutti assieme, anche per proteggersi a vicenda. Va ricordato che la loro presenza a Pordenone è sempre stata, numericamente, trascurabile, nonostante gli Statuti della città li proteggessero, arrivando a prevedere la presenza di una guardia davanti alla porta delle loro abitazioni il venerdì santo, quando i predicatori dal pulpito arringavano il popolo contro i giudei che avevano messo a morte il Salvatore. La guardia serviva a scoraggiare i malintenzionati che avrebbero volentieri trascinato in strada i giudei per bastonarli e magari anche per ucciderne qualcuno. A Roma del resto si usava così e lo stesso si faceva in molte altre città d'Europa [...]

(Pordenone - La città dipinta - Ed. Biblioteca dell'Immagine - 2017)


Da qualche lustro sono diventato sempre più occasionale frequentatore dei riti liturgici della Chiesa Cattolica, se si eccettuano eventi come la Messa dello Spadone a Cividale, cui partecipo più che per ragioni di fede per motivi d'interesse storico-culturale. Debbo alle torrentizie, faticose e avvicenti conferenze di pre Gilberto Pressacco la conoscenza della formula di rito con cui nella messa del Venerdì santo si invitavano i fedeli a pregare per il Popolo Eletto. Non ricordo quale collegamento giustificasse la citazione, ma pre Gilberto riuscì di certo a infilarla a buon diritto fra la rievocazione di antichi scismi capitolari, l'analisi del libro dei balli di Giorgio Mainerio condita da qualche appunto di filologia musicale a sostegno del giusto intervallo fra le note di S'ciarazzule Marazzule, in contrapposizione con la sua versione moderna (Ballo in fa diesis minore, di Angelo Branduardi), le sue ricerche in terra d'Etiopia sul canto in doppio coro e le origini marciane della Chiesa Aquileiese, i Terapeuti e la “rusticitas”, la storia del curato di Palazzolo andato a denunciare agli inquisitori “Maria Lissandrina, vedova impudica...”, l'Attila di Verdi ecc. ecc. ecc.

Secondo il messale tridentino di papa Pio V la preghiera universale del Venerdì santo consisteva di nove orazioni: si pregava per la Chiesa, per il papa, il clero, i governanti, i catecumeni, gli eretici, gli ebrei, i pagani e tutti coloro che si trovano in pericolo o povertà. Mentre in tutte le altre preghiere l'orazione terminava con la genuflessione (flectamus genua) e con una preghiera, questa formula non era prevista nell'orazione per gli ebrei: "Non si risponde Amen, non si dice OremusFlectamus genua, né Levate” (Hubert Wolf, Il papa e il diavolo, Donzelli, Roma 2008). Il testo dell'orazione è rimasto tale dal VI secolo fino a papa Giovanni XXIII, che con motu proprio del 1959 espunse dalla preghiera il controverso aggettivo. Sul corretto significato da attribuire al perfidus latino si sono versati fiumi d'inchiostro e ancora la polemica non cessa. Che in origine il termine stesse per “infedele”, “incredulo”, “miscredente”, il popolo incolto che da secoli recitava preci in una lingua sconosciuta certamente lo ignorava, continuando ad attribuirgli il più offensivo significato in uso nella parlata corrente. Questo per dire come i timori delle autorità comunali pordenonesi dell'epoca fossero giustificati e le guardie a presidio dell'integrità giudaica per nulla superflue.

Nel 2017, invece, dobbiamo far scendere in piazza i carabinieri per garantire il pacifico svolgimento della messa in una chiesa di Pistoia e l'incolumità del celebrante cattolico, reo di manifesta umanità e colpevole di voler vivere quotidianamente il Vangelo di Cristo.

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