(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

lunedì 9 ottobre 2017

Dialogo e ascolto

Lettera aperta a Giorgio Simon, direttore generale Azienda per l'Assistenza Sanitaria n. 5 - "Friuli Occidentale"

Sto assistendo continuativamente da alcune settimane una madre 87enne alle prese con invalidanti acciacchi dell’età e, di conseguenza, mi trovo a usufruire del nostro sistema sanitario in maniera piuttosto intensiva. In linea generale devo riconoscere che il livello di servizio si è sinora dimostrato al di sopra delle aspettative: la prenotazione degli esami diagnostici tramite le farmacie funziona e i tempi di attesa nel mio caso si sono rivelati più che accettabili. In occasione di un recente ricovero di mia madre presso l’ospedale di Spilimbergo ho potuto apprezzare la perizia, disponibilità, umanità e cortesia del personale infermieristico, tanto al pronto soccorso che in reparto. Vi sono però a mio avviso delle criticità strutturali sulle quali vale la pena di riflettere. Verso le ore 13 del giorno in cui mia madre è stata dimessa mi è stato consegnato e fatto sottoscrivere un avviso che recita: “Gentile signora e signore, nell’accoglierla nel nostro reparto desideriamo fornirle alcune importanti informazioni riguardo la Sua degenza (…) “. Tra queste informazioni, oltre al regolamento di reparto, mi veniva comunicato il nome del medico responsabile del ricovero con relativo sostituto. Mi pare che queste informazioni, oltremodo doverose, debbano essere fornite all’ingresso in reparto, non in fase di dimissioni. In quell’occasione mi sono brevemente intrattenuto con quello che debbo ritenere sia stato il medico responsabile del ricovero (sono abituato a presentarmi ai miei interlocutori, ma debbo constatare che in ospedale non usa) e che si è detto d’accordo con me su alcune mie osservazioni. Senza entrare nei dettagli, che potrò, se ritiene, riferirle a voce e documentare, mi pare che nella struttura che lei dirige vi siano diffusi problemi di comunicazione, sia interna che esterna e non soltanto in ambito ospedaliero, che interessano i Signori Medici e che impattano sul livello generale del servizio. L’inadeguato esercizio della capacità di dialogo e ascolto rischia di aggravare la già penosa condizione dei pazienti, ma i fraintendimenti che ne discendono possono anche appesantire la gestione dei reparti. E in tempi di ristrettezze non è il massimo. Il caregiver (brutto e inutile neologismo) non dev’essere costretto ad appostarsi nei corridoi per intercettare il passaggio di un medico qualsiasi a cui pietire una sbrigativa informazione. I “tempi standard” delle visite ambulatoriali non sempre paiono compatibili con la necessità di ottenere una diagnosi accurata. L’impressione di efficienza evidenziata dai freddi numeri delle statistiche e dovuta a una rapidità che spesso confligge con un sereno approfondimento, in realtà rischia di ritorcersi contro sia il servizio che l’utente. Insomma, bene, ma non benissimo. E, come sempre, a far la differenza sono le persone. L’industrializzazione dei processi, forse, in sanità non paga.

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