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e le note vengono aggiornate di quando in quando)

giovedì 29 novembre 2018

L’insospettabile virtù del dado esagonale

Era il 2011 quando acquistai il mio primo pico-proiettore. Dopo aver letto su Wired la recensione di un paio di modelli mi decisi al grande passo. Meditavo da tempo di acquistarne uno per uso casalingo, complici le insidiose sollecitazioni di un collega di lavoro smanettone e patito di tecnologia. L'idea di avere un proiettore portatile dalle dimensioni contenute, l'affidabilità del produttore e la favorevole recensione di una rivista autorevole neutralizzarono ogni titubanza. Lo ordinai online, perché un prodotto del genere non aveva (e credo non abbia ancor oggi) estimatori sufficienti per trovare posto sugli scaffali di uno dei tanti super empori dell'elettronica. Quando mi arriva il pacco lo scarto con impazienza e inizio a vuotare la confezione alla ricerca del mio nuovo giocattolo. Ci sono una serie di cavi per ogni genere di connessione, l'immancabile manuale d'uso multilingua, una scatoletta che identifico come la batteria del proiettore...manca lui! Ricontrollo nella scatola, estraggo l'intero contenuto e lo appoggio sul tavolo della cucina. No, non c'è proprio, mi hanno fregato! Con un misto di rabbia e agitazione inizio allora a sfogliare il manuale e mi sorge un dubbio. Quel piccolo parallelepipedo di 7 centimetri di lato, alto poco più di due, che ho frettolosamente scambiato per la batteria, in realtà è proprio il proiettore. Stento a credere ai miei occhi. Ma come può un aggeggino del genere, mi dico, produrre un'immagine da 80 pollici? La prima prova dissolve ogni scetticismo. La batteria che consente a quell'aggeggino di funzionare anche senza un cavo di alimentazione è una sorta di sottile saponetta agganciata sotto al proiettore. Incastonata sul fondo della saponetta si trova una lucente vite femmina che consente di assicurare il proiettore a un treppiede. O, per meglio dire, consentiva. Da alcuni mesi, a seguito di una rovinosa caduta del treppiede quella preziosa àncora è stata sbalzata via, precludendomi la possibilità di ottenere proiezioni soddisfacenti. Alcune ricerche online confermano che acquistare una nuova batteria costerebbe 70 euro, una cifra che mi pare improponibile e sproporzionata. Decido allora di arrangiarmi. Ritaglierò un quadrato di legno spesso 1 cm ricavandoci al centro con il pirografo una nicchia in cui fissare un dado esagonale. Una volta reso solidale il manufatto alla batteria del proiettore il gioco è fatto, mi dico. Nella mia ingenuità da bricoleur della domenica immaginavo che ogni dado esagonale potesse accoppiarsi con un bullone qualsiasi, purché del giusto calibro. Provando ad avvitare un dado da 6 mm allo spezzone di vite che emerge dal treppiede mi imbatto invece in una sonora delusione. Niente da fare. Non si avvita. Altre ricerche in rete e una rapida consulenza con un amico fotografo mi svelano l'arcano. I dadi esagonali non si accoppiano indifferentemente con qualsiasi bullone dal calibro congruente. Occorre tener conto anche della filettatura interna. Che ha passi differenti, ossia una diversa densità di spire, per capirci. E le viti dei treppiedi usi a sostener macchine fotografiche, videocamere e affini si avviluppano con un passo che viene detto, per l'appunto, "fotografico". Simili raffinatezze meccaniche non son prodotti buoni per una ferramenta qualsiasi. Ma in una terra costellata di insegne quali “Casa del cuscinetto”, “Emporio della marmitta” e “Tuttobrugola”, non è difficile trovare un “Paradiso del bullone” vicino casa capace di saziare ogni appetito metallico. Ottenuti i miei 5 dadi da 6 mm con passo "fotografico" (ché a prenderne uno soltanto mi vergognavo), con un solo euro di spesa ho finalmente risolto l'annoso problema, disponendomi a festeggiare il mio compleanno con animo grato e intima soddisfazione.

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