È questo il motto, attribuito a Gabriele D'Annunzio, che compare sullo stemma araldico del Battaglione Alpini "L'Aquila". Questa unità dell’esercito, che ai tempi della leva obbligatoria inquadrava prevalentemente ragazzi abruzzesi, fa parte della Brigata Alpina Julia. Ed è la ragione per cui ne ricordo la divisa (araldicamente parlando).
L'endecasillabo rende però altrettanto bene i tratti salienti del carattere di mia madre, donna determinata e tenace. Fino a quando mio padre ha mantenuto in esercizio la sua attività a lei spettava di seguire tutti gli aspetti burocratico-amministrativi della modesta impresa familiare, come andare in posta a pagare i bollettini, curare i rapporti con la banca e il commercialista, ecc. Tutto questo in aggiunta, beninteso, ai quotidiani impegni casalinghi e materni. Quando frequentavo il Mattiussi per diplomarmi in ragioneria il rientro a casa per il pranzo costituiva l'occasione per aggiornarmi sulle sue avventure mattutine, capaci di riservare sorprese, procurare arrabbiature o impartire lezioni di vita. Sportello bancario, interno giorno. La genitrice si appresta a disporre un versamento in conto corrente. Il cassiere le porge la distinta e la invita a compilarla. Avendo fin dall’infanzia problemi di vista, la genitrice domanda al cassiere se per cortesia il modulo può riempirlo lui, evitandole di dover cercare gli occhiali nella borsa. All'incauto giovanotto, che di certo non conosce a fondo i propri clienti, sfugge una risposta che segnerà la sua vita professionale: "Ah, ma non siamo mica tenuti, sa." Poche parole pronunciate forse sbadatamente e magari prive di intento polemico che però non passano inosservate (da questo momento in avanti la scena assume toni lirici da crescendo wagneriano, con azione congiunta di aquile e leonesse che strepitano e ruggiscono). "Come ha detto? Non siete tenuti? Ma lo sa che se lei sta seduto su questa sedia è grazie ai clienti come me che ogni mese contribuiscono a pagarle lo stipendio? Mi faccia parlare subito con il direttore!" (si ignorano altri dettagli sull’epilogo del dramma). Passato qualche giorno, la genitrice ritorna in banca. C'è coda e lei si mette in fila. Il cassiere non appena la scorge si alza in piedi e ne richiama l'attenzione a grandi gesti, in barba a tutti gli altri clienti in attesa: "Signora, buongiorno! Ha bisogno?" e lei, di rimando: "Aspetto il mio turno, grazie!"
Ma facciamo qualche passo indietro nel tempo e andiamo ai primi anni ‘50 dello scorso secolo. Il natio borgo selvaggio non offriva allora grandi opportunità lavorative, specie per una donna giovane e ambiziosa, e il turismo finesettimanale dei cittadini di pianura alla ricerca di bei panorami, aria genuina ed escursioni nei boschi era di là da venire. Ad eccetto della felice e breve stagione della “Fabbrica del Mugòlio”, non rimaneva che la pastorizia e la vendita ambulante di utensili in legno. Ma gli echi del boom economico si facevano sentire anche in Valcellina e il desiderio di riscatto sociale spinse molti paesani a lasciare le loro case. Gilda emigrò in Svizzera e trovò lavoro in una filatura. Di quel periodo a casa si conservano ancora in ottime condizioni splendide tovaglie ricamate, lenzuola e asciugamani di provata qualità. Valico di confine italo-svizzero, interno giorno.
“Signorina, lei ha niente da dichiarare?”
“No”
“E questa?”
“È una bottiglia di cognac”
“Eh, ma se vuole importarla bisogna pagare il dazio”
“Cioè?”
“Se vuole portarla in Italia bisogna pagare una tassa” (le comunica l’importo)
“E se la bevo qui?”
Il doganiere, spiazzato, impiega qualche secondo per riaversi.
“Beh, se non la porta oltre confine, non c’è niente da pagare...”
“Signore! Vuole un sorso di cognac? Anche lei, signora! Venite, venite: un sorso a testa, che dobbiamo vuotare la bottiglia!”
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