(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

domenica 30 dicembre 2018

Il comunismo, la rivista e l’OCR

Nel settembre del 1984 stavo per iniziare l’ultimo anno della ragioneria e m’interrogavo sul futuro. Da qualche tempo avevo manifestato uno spiccato interesse per l’informatica, che allora cominciava a uscire dai templi della scienza per diffondersi nella società civile. Proprio in quel periodo a Udine era stato attivato un corso di laurea in scienza dell'informazione, a cui meditavo di iscrivermi una volta archiviata la maturità. Ma c'era il numero chiuso, le immancabili difficoltà logistiche proprie di ogni “fase d’impianto” (scarsità di aule e conseguenti quotidiane peregrinazioni degli iscritti attraverso la città) e poi… Udine era troppo vicina. Avrei potuto fare il pendolare, mentre la mia idea di università includeva allora l’agognato abbandono del paterno ostello (lech lechà...). Non proseguii gli studi in quella direzione, ma l’interesse per i computer rimase intatto. Incuriosito dal fenomeno, iniziai a documentarmi, leggendo le riviste che si potevano trovare in edicola. Puntai naturalmente su quanto di più ostico potesse esserci per un neofita. ZEROUNO era un mensile della Mondadori, in quegli anni piuttosto corposo (il fascicolo contava fino a duecento pagine e oltre), ricco di articoli tecnici e saggi teorici con cui si elargivano lezioni di algebra booleana, si analizzavano sistemi operativi e software gestionali dai costi milionari (c’erano ancora le lire). Inutile aggiungere che di quanto leggevo riuscivo a capire ben poco. Se non ricordo male, fu proprio su quelle pagine che potei seguire le affascinanti cronache di Umberto Eco, alle prese con i suoi primi avventurosi esperimenti di videoscrittura. Le difficoltà con cui dovetti scontrarmi inizialmente erano accresciute dall’ambiguità di alcuni termini dell’informatichese. Come, ad esempio, formattazione. A scuola era già entrato qualche ingombrante antenato dei moderni p.c., con il quale ci esercitavamo a registrare le nostre scritture contabili manovrando giganteschi floppy-disk da 5” e ¼. Formattare un disco era quindi un’attività conosciuta, così come, più o meno, mi era noto il significato del verbo. Ma quando poi, nell’affrontare un pezzo che trattava di word processing, leggevo cose del tipo “formattare il testo”, andavo in tilt. Anche la risoluzione, nel grammelot degli informatici può assumere due significati diversi: identifica le dimensioni di un’immagine, ma ne può indicare anche la qualità, espressa in densità di pixel per pollice quadrato (DPI). Insomma, una faticaccia frustrante. Nel numero 32 della rivista, quello del mese di settembre, fu pubblicato un lungo saggio. Affrontarlo rappresentava una fatica estenuante per un ragazzino, curioso sì, ma ancora poco pratico di letture impegnative. L'articolo iniziava in questo modo: “L'avvento della tecnologia informatica digitale a basso costo rappresenta una sfida fondamentale alla sopravvivenza del sistema sovietico.” E proseguiva con un’analisi dettagliata delle ragioni di incompatibilità fra l’ideologia comunista dell’Urss e la diffusione dei personal computer che in quegli anni iniziava la sua corsa. Nel frattempo sono diventato un robusto consumatore di tecnologia e, per quanto riguarda l’informatica casalinga, utilizzo linux da qualche anno. Fino ad ora non avevo ancora testato un OCR che girasse su Ubuntu (si tratta di quei software che convertono da immagine a testo la pagina di un libro acquisita tramite uno scanner) ed era arrivato il momento di rimediare. Ho così recuperato l'ormai storica rivista, custodita amorevolmente nei miei archivi, cercato i programmi disponibili per eseguire il riconoscimento ottico dei caratteri e in poco tempo ho digitalizzato 13 pagine di saggio con un tasso di errori veramente contenuto (credo di avere corretto manualmente soltanto una trentina di refusi). Per chi volesse approfittarne, il testo di quell’articolo è disponibile a questi link (Prima parte e Seconda parte). Si tratta di un’analisi davvero interessante, specie se letta a più di trent’anni di distanza e tenendo conto della successiva evoluzione storica. La caduta del muro di Berlino e il crollo del comunismo forse non si possono ascrivere interamente alla comparsa sul mercato del Macintosh o alla espansione pervasiva del sistema operativo “a finestre”, ma di certo la rivoluzione informatica ha modificato le nostre vite. E ancora non è finita.

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