e le note vengono aggiornate di quando in quando)
lunedì 31 dicembre 2018
La capsula reniforme
L’hanno chiamata così perché dire “bacinella a forma di fagiolo” pareva brutto. Sembra appartenere a ciascuna delle tante corporazioni in circolazione una divertente autoreferenzialità lessicale che finisce inevitabilmente per guastare il processo comunicativo e pregiudicare la comprensione di chi si trova all’esterno del gruppo. Qualcuno potrebbe sostenere perfino che l’insistito ricorso a un linguaggio settoriale sia funzionale all’autoconservazione del gruppo, intendendo marcare con l’impiego di termini “tecnici” la differenza fra chi sta dentro e chi sta fuori. Se invece si tratta di semplice consuetudine, è evidente che non si ha ben chiara la necessità di farsi comprendere dal proprio interlocutore. Nel 1993 il Dipartimento per la Funzione Pubblica, allora retto dal prof. Sabino Cassese, distribuì a tutte le Amministrazioni Pubbliche una guida, il “Codice di stile delle comunicazioni scritte”, con l’intento di rendere queste più comprensibili ai cittadini. Per superare quella che Italo Calvino definiva “antilingua”, caratterizzata dal “terrore semantico, cioè la fuga di fronte a ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato”, il manuale del prof. Cassese propone diversi esercizi in cui moduli, bandi pubblici, delibere vengono riscritti e “tradotti”. Per molti uffici questa utile guida è rimasta lettera morta. In questi giorni avevo bisogno di attrezzarmi per sbrigare da me la pulizia delle orecchie dell’anziana genitrice, soggette a periodici accumuli di cerume. Quando se ne era occupato il suo medico di base avevo notato che utilizzava una pratica vaschetta con un lato concavo che consente di appoggiarla al collo per farci colare l’acqua che fuoriesce dal cavo auricolare. Una bacinella a forma di fagiolo. Mi rivolgo allora (infruttuosamente) alle più vicine farmacie per procurarmene una. Le mie richieste vengono accolte di volta in volta con: smarrimento, perplessità, alzate di sopracciglio, smorfie di disgusto per la dissacrante banalizzazione di cui mi rendo colpevole, fino a quando un sussiegoso camice bianco mi informa trattarsi di capsula reniforme. Confesso che qualche smorfia è sfuggita anche a me, quando, dopo avermi detto che avrei dovuto ordinarla, mi hanno informato che rispetto ai 3 euro che avrei pagato acquistando su Amazon, il prezzo in farmacia era 5 volte tanto. Ma i linguaggi settoriali appartengono a ogni genere di consorteria. “Nella circostanza veniva attinto alla schiena un pregiudicato di nazionalità marocchina (...)”. Così riferisce TeleAlessandria nel dare la notizia, mutuando un termine di stretto uso poliziesco/forense che nulla ha a che vedere con l’acqua del pozzo (il testo pare preso pari pari da un rapporto della questura). In questo caso “attingere” sta per “raggiungere” e si deve concludere che il malcapitato fu ferito da alcuni colpi di arma da fuoco. Non vi è dubbio che ciascuna attività ha bisogno di identificare con precisione i propri “attrezzi” (fossero anche strumenti lessicali) e in questo senso lo sviluppo di linguaggi settoriali trova la sua giustificazione. Ma nel momento in cui ci si relaziona con l’esterno, con chi non ha motivo per essere iniziato ai misteri della confraternita, sulla consuetudine gergale dovrebbe prevalere la funzione comunicativa, bisognerebbe cioè assicurarsi che l’interlocutore comprenda il messaggio, anche modulando il proprio vocabolario. E il discorso vale naturalmente anche a parti invertite, quando cioè occorre comprendere messaggi magari “non correttamente formattati” ma non per questo privi di significato.
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In tutti gli ambulatori ed ospedali italiani la chiamano "ARCELLA"
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