La seduta consiliare del 29 novembre scorso ha riportato alla ribalta una delle annose vicende che animano da qualche lustro le cronache cittadine. Proveremo qui a inquadrare l’affaire “Discarica” con uno sguardo dall’alto, trascurando i dettagli di un lungo percorso travagliato che ancora non ha visto la fine. Tutto inizia formalmente nell’anno 2000, quando il Consiglio Comunale impegna l’Amministrazione a restituire al Comune di Pordenone i “rifiuti già conferiti nella discarica di Vallenoncello in un futuro impianto di cui il Comune di Cordenons intende dotarsi” (dalla Perizia suppletiva e di variante al progetto definitivo del dott. Fausto Brevi, 23/12/2015). Si tratta di un debito milionario tuttora pendente che le casse comunali non sarebbero in grado di sostenere. Per non farsi incantare dalle fole populiste (vedi l’accesa ostilità grillina nei confronti dell’inceneritore di Parma, che poi una volta vinte le elezioni amministrative fu realizzato, perché non c’erano altre strade percorribili), o di certo idealismo, tanto apprezzabile quanto astratto, occorre quindi avere ben presente una cosa: la discarica del Crovoleit rappresenta ormai per la nostra Città una strada a senso unico, dalla quale non si può tornare indietro (salvo pagarne il prezzo). Il ricorso alla discarica di Vallenoncello evidenzia invece un primo fallimento dell’azione politica, che mancò evidentemente della capacità di programmazione: si giunse allora a un punto in cui non sapevamo più dove smaltire i nostri rifiuti e dovemmo chiedere aiuto ai vicini di casa.
Saltiamo a piè pari tutte le difficoltà, alcune impreviste e imprevedibili, che hanno costellato un cammino prossimo alla maturità e arriviamo ai giorni nostri. O poco prima. L’area in cui venne deciso di realizzare la discarica non era di proprietà del Comune, apparteneva al demanio militare: l’Amministrazione si dovette quindi obbligare a renderla in qualche modo disponibile all’azienda a cui venne affidata la realizzazione dell’opera. Nel 2005 si decise di prendere in concessione il terreno, pagando un canone decisamente modesto (15 mila euro l’anno) e con un contratto che durava 6 anni. Secondo errore. La durata dell’impianto era già stabilita in 37 anni (7 di esercizio effettivo e 30 di gestione post mortem) e se ti impegni a rendere disponibile l’area per tutto quel tempo, prenderla in concessione con contratti da rinnovare ogni 6 anni non è davvero una scelta prudente. Il 23/9/2015 l’area viene sdemanializzata, ossia passa dalla categoria dei beni del demanio pubblico militare a quella dei beni del patrimonio dello Stato. Non è una pura formalità. In questi tempi di crisi, in cui per far quadrare anche il bilancio statale bisogna raschiare risorse frugando nei cassetti più nascosti e dimenticati, “valorizzare il patrimonio pubblico” è un mantra che abbiamo imparato a conoscere. I beni demaniali sono indisponibili, non si possono vendere. I beni patrimoniali sì. Era dunque prevedibile che qualche sonnacchioso burocrate si accorgesse prima o poi anche del Crovoleit e intendesse “valorizzarlo”.
Arriviamo al terzo scivolone, per il quale conviene allargare il ragionamento. I politici che siedono in Consiglio Comunale, ma soprattutto nella Giunta (sono quelli che governano la Città), non hanno necessariamente (e per il funzionamento della macchina amministrativa non è necessario che abbiano) competenze tecniche specifiche. Seduti su quegli scranni abbiamo visto succedersi baristi, commercianti, medici, pensionati, insegnanti. Ci sono certo anche imprenditori e professionisti (architetti, ingegneri, avvocati, geometri) che per mestiere dovrebbero saperne di più. Ma ai politici spettano le scelte di programmazione e indirizzo, un’attività che è più di coordinamento e direzione. Il know-how tecnico e operativo deve appartenere ai tecnici, ai funzionari responsabili degli uffici e al personale del Comune, che si devono supporre in possesso delle necessarie conoscenze professionali, della diligenza dovuta e anche di una maggiore esperienza specifica, dato che nell’Amministrazione loro ci lavorano a tempo pieno, mentre i politici sono in genere di passaggio, stante l’elettività della carica. La storia recente ci ha però dimostrato che dalle aspirazioni alla realtà il margine rimane sovente ampio. Basti pensare alla vicenda del Macello. Chi abbia avuto il coraggio di leggere la relazione dell’avvocato Zgagliardich si sarà accorto che perfino on qieòòa che è la semplice attività di archiviazione dei documenti regnava un disordine inaccettabile in qualsiasi ufficio. Per fare le somme, poi (giacché di questo si sarebbe trattato in un’azienda che avesse curato con diligenza i propri affari e conservato ordinatamente le fatture tempo per tempo), è stato necessario affidare più incarichi a periti diversi (perché nel disordine poi diventa più complicato raccapezzarcisi). La sdemanializzazione dell’area della discarica avrebbe potuto far suonare un campanello d’allarme già nel 2015. E ad allertare i politici dovevano essere i tecnici. Anche se ciò non esime i primi da responsabilità, dato che è sempre al capitano di una nave che vanno ascritti i meriti e i fallimenti della navigazione. A lui spettano infatti la direzione e il controllo necessari ad assicurare un viaggio sereno e confortevole. Invece nessuno si accorse di nulla. La scadenza della concessione era ancora di là da venire e dunque: perché preoccuparsi?
In conclusione, pare evidente che quando si giunge ai giorni nostri il Comune è ormai con le spalle al muro. Deve realizzare la discarica e deve garantire per i prossimi 40 anni la disponibilità dell’area all’azienda che ci sta lavorando. Il 30/11 scade la concessione del Crovoleit, che non può più essere rinnovata (salvo prendere in locazione il terreno, ma di questo non ci occupiamo). Non resta altro da fare che cedere alle lusinghe statali e dare il proprio contributo alla “valorizzazione” del patrimonio pubblico rinunciando alla caserma dei carabinieri e pagando tutte le spese.
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