Tolmezzo, caserma Del Din, 1987. Esterno giorno. Quando prendevo servizio come Ufficiale di Picchetto della caserma, al cambio della guardia istruivo brevemente i ragazzi con cui avrei condiviso il turno facendo qualche raccomandazione su come intendevo che venissero svolti i rispettivi compiti. Prima di tutto, spiegavo che l’ordine “pett-arm” non esiste e che, anche se si esegue portando al petto il fucile Garand, che va tenuto inclinato in diagonale, il comando da dare è “tracoll-arm” (lo ammetto, sono sempre stato un tantino...puntiglioso, ma i militari con queste cose ci vanno a nozze e io mi ero adeguato allo stile con grande facilità). Ricordavo poi di chiedere un documento d’identità a ciascuna persona in ingresso, militare o civile che fosse, per annotarne estremi sull’apposito registro. Una mattina arriva un’AR dal Comando Brigata con a bordo un colonnello. Si avvicina il capoposto e raccoglie il tesserino del capo macchina. Vedo dalla guardiola che con l’ufficiale seduto al suo fianco c’è qualche difficoltà. Il caporalmaggiore viene a riferirmi.
“Signor tenente, il colonnello non ha il tesserino militare. Cosa faccio?”
“Ok, vengo io”
Esco. Saluto.
“Signor colonnello, avrei bisogno cortesemente del suo tesserino.”
Il borioso pezzo...grosso, che già aveva sbrigativamente neutralizzato il giovane capoposto, convinto di poter replicare allo stesso modo con il tenentino di prima nomina, risponde con nonchalance:
“Non ce l’ho. L’ho dimenticato a casa.”
“Signor colonnello, mi dispiace, ma io non posso farla entrare”, replico.
Il pezzo...grosso sembra spiazzato e sul suo viso si stampano in rapida successione espressioni di meraviglia, stupore, indignazione e feroce incazzatura per l’affronto che sta subendo. Per fargli capire che faccio sul serio appoggio scenograficamente la mano sulla fondina della mia Beretta cal. 9, che tengo fissata al cinturone. Il messaggio è: Ciccio, qui le chiavi di casa le ho io; sto semplicemente applicando le disposizioni che voi dovreste conoscere meglio di me; io di qui non mi schiodo. E arriva forte e chiaro. Il pezzo...grosso capisce di essersi messo in un cul de sac e non sa come uscirne (ovviamente il tesserino lo aveva in tasca, ma non gli andava di mostrarlo al capoposto e ormai non poteva più cambiare versione, pena solenne figuraccia che un Signor Ufficiale del suo rango non poteva permettersi di fare di fronte a un ufficiale inferiore subordinato in servizio di prima nomina). Mentre la sfida all’Ok Corral è in pieno svolgimento, un altro tenente colonnello, uno dei miei, il direttore di mensa, si trova a passare nei pressi del cancello d’ingresso. Notata la situazione d’impasse e, soprattutto, il contenuto del veicolo, si avvicina per chiedere se c’è qualcosa che non va.
“Il signor colonnello non ha il tesserino militare e io non posso farlo entrare”, lo informo.
Il pezzo...grosso n. 2 capisce l’antifona e interviene per trarre d’impaccio il suo turrito collega: “Ah, beh... ma il colonnello lo conosco io. Va bene, va bene, lo faccia pure passare.”
“Sig. colonnello, se me lo dice lei...” Saluto e faccio aprire il cancello.
Punto n. 1 (il più significativo): non potevo darla vinta al borioso pezzo...grosso perché avrei perso autorevolezza nei confronti degli uomini che mi erano stati affidati e a cui avevo ribadito la sera prima come si dovevano comportare. Avendo dimostrato con l’esempio che io per primo sapevo mettere in pratica quel che chiedevo loro di fare, ho invece guadagnato immediata stima e fiducia (annotino gli instant-manager contemporanei, convinti che la sola investitura garantisca loro la leadership: non sufficit).
Punto n. 2: se quell’altro pezzo...grosso dell’Aiutante Maggiore mi fosse venuto a fare le pulci perché non avevo identificato il suo borioso compare, l’avrei mandato dall’altrettanto turrito direttore di mensa e che si spiegassero tra di loro.
Si rientra negli spogliatoi.
Nessun commento:
Posta un commento
se sei un utente anonimo, ricorda di aggiungere in calce il tuo nome ;-)