(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

mercoledì 12 febbraio 2020

Between the Devil and the Deep Blue Sea

È questo il titolo di un brano jazz degli anni Trenta, interpretato a più riprese da crooner e star del palcoscenico, rivisitato anche ai giorni nostri (si faccia riferimento per tutti a queste registrazioni di Ella Fitzgerald e Cab Calloway). La locuzione, di uso comune nei paesi di lingua inglese, indica la difficile situazione in cui si trova chi sia costretto compiere una scelta fra due alternative ugualmente sconvenienti.
Ma qual è la relazione fra il diavolo e le profondità marine?
L’origine di questo modo di dire è quello che andremo qui a scoprire.

Le librerie di casa mia custodiscono molti più libri di quanti ne possa leggere. Funziona così: quando partecipo a una presentazione o a qualche conferenza, se i relatori sanno essere coinvolgenti e riescono a stimolare la mia curiosità (succede quasi sempre, vuoi per i miei ramificati interessi, vuoi per l’ormai collaudata capacità di scegliere fra le numerose proposte disponibili), al termine degli incontri difficilmente riesco a sottrarmi all’acquisto dei volumi esposti sul banchetto prossimo all’uscita. Allo stesso modo, quando viaggio, non manco mai di visitare una libreria o il bookshop dei musei alla ricerca di qualche volume che tratti di tradizioni locali, curiosità, guide alternative a luoghi o episodi storici. Il titolo, la tavolozza cromatica della copertina, la biografia dell’autore riportata nel risvolto sono spesso elementi sufficienti per convincermi ad un acquisto irripetibile. Poi succede che il tempo di affrontare subito ogni lettura scarseggia e i libri finiscono per riposare a lungo sugli scaffali di casa, in attesa che arrivi il loro momento. Sì, perché mi sono convinto che i libri sanno aspettare il momento giusto per essere letti e quando succede si presentano ammiccando, ti catturano e reclamano con forza l’attenzione che gli è dovuta. È successo così con un libretto che acquistai durante un viaggio a Londra e di cui mi ero naturalmente dimenticato. Not enough room to swing a cat – Naval slang and its everyday usage raccoglie modi di dire marinareschi successivamente approdati al linguaggio comune (parlato in Gran Bretagna e dintorni, s’intende). Me lo procurai ai Royal Museums di Greenwich nel 2015 (ne ho scritto qui un diario di viaggio: http://www.iltaccuinodipiterpan.it/2015/03/london-15-part-2.html). Ieri sera l’ho adocchiato (o forse, chissà, è lui che ha trovato me) e ho iniziato a leggerlo.

Il diavolo, si diceva. Quando i velieri erano fatti di legno, occorreva impermeabilizzare tanto il fasciame che il ponte di coperta sigillando gli interstizi fra le tavole con stoppa e pece bollente. L’operazione si chiama calafataggio e qui si può trovare un bell’articolo che ne illustra l’antica tecnica: https://www.nautipedia.it/index.php/Articolo_Calafataggio. L’autore del libretto di Greenwich spiega che il punto in cui il ponte di coperta incontra lo scafo rappresentava la giuntura più difficile da calafatare (paying, nel gergo dei marittimi del tempo), tanto che veniva chiamato the Devil e quell’incarico rappresentava spesso una sorta di missione punitiva per i soggetti più riottosi. Da qui un’altra espressione di origine marinara poi sbarcata sulla terraferma: the Devil to pay and only half a bucket of pitch (dover “pagare” il Diavolo e avere soltanto mezzo secchio di pece). Il marinaio incaricato di “pagare” il Diavolo doveva quindi sistemarsi in precario equilibrio sulla murata della nave, a strapiombo sul mare, trovandosi appunto between the Devil and the deep blue sea.

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