In questo preludio di primavera di un anno bisestile, mentre il Morbo infuria in tutta la Penisola e dilaga in Europa e nel mondo, anche l’accesso alle case di riposo è stato interdetto ai visitatori. Familiari e amici non possono entrare e gli operatori devono ora impegnarsi a tranquillizzare soprattutto i parenti dei loro anziani ospiti, che privati di un contatto diretto con i loro cari, vivono un comprensibile stato di ansia. Antonella si divide fra la struttura che custodisce ormai da un anno la mia Vecchina bianca e un’altra residenza poco distante. Coordina con dedizione non comune entrambi i condomini, col loro carico di complicazioni quotidiane. I telefonini più evoluti, con cui molti di noi hanno ormai imparato a familiarizzare, hanno rivoluzionato il nostro modo di relazionarci e facilitano i contatti con persone lontane. Così, una alla volta, le residenze per anziani si sono organizzate per gestire videochiamate via Skype o Whatsapp. Io avevo però un’altra, piccola, priorità: bisognava sostituire la batteria dell’apparecchio acustico della mamma. Fino ad ora me ne sono occupato io, ogni quindici giorni, ma adesso che siamo giunti a scadenza e l’apparecchio si spegnerà, bisogna provvedere in altro modo. Ho quindi ordinato una confezione di batterie su Amazon e le ho fatte recapitare alla struttura, dopo un fitto scambio di mail utile a raccordarci. Antonella, nel suo fervore organizzativo, voleva farmi provare subito la videochiamata, ma io non ero d’accordo.
«La mamma non ci sente, temo che se mi vedesse senza riuscire a capire cosa sta succedendo, malgrado le nostre buone intenzioni, ho paura che rischiamo di confonderla e agitarla» – ho spiegato.
«È che domani io non ci sarò…» – insisteva Antonella.
«Non importa, sentirò le animatrici. Grazie per la disponibilità, ma preferisco organizzarmi a casa con calma, facciamo domani.»
Il giorno successivo ho preso dei fogli UNI A4 su cui ho scritto con un grosso pennarello brevi messaggi da mostrare in sequenza alla videocamera: “Io sto bene”, “Stai tranquilla”, “Vengo su appena possibile”. Avevo già sperimentato una soluzione simile quando, ricoverata in ospedale per l’immancabile rottura del femore, il suo apparecchio acustico era andato perduto fra il cambio lenzuola ormai consegnato alla lavanderia… Nel frattempo, le ingiurie del decadimento hanno complicato ancor di più le cose e l’unica comunicazione efficace avviene ora attraverso lo scambio di occhiate complici e sorrisi, smorfie, gesti, carezze, abbracci e mani strette palmo nel palmo. Ordinati i cartelli nella giusta sequenza, indossate le cuffie e regolata l’illuminazione del set, mi sono preparato all’esperimento con una certa trepidazione. Che si è trasformata in stupore misto a emozione, quando il tablet da cui chiamavo si è riempito del volto di mia madre, intenta a sfogliare riviste e poco interessata al trambusto che si svolgeva intorno a lei. Inizialmente incredula e smarrita, non riusciva a comprendere cosa stesse succedendo, ma una volta riconosciuto nel piccolo schermo che le stava di fronte il sorriso di suo figlio, le si sono illuminati gli occhi.
Ed è iniziato lo spettacolo.
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