Fu nel gennaio del 1989 che arrivai, giovane neoassunto, nella filiale di Modena, in via dell’Università. Trovai quasi subito alloggio a pochi passi dalla banca, in un grazioso miniappartamento che un notaio aveva destinato al nipote guarnendolo di prestigiose finiture e pavimenti griffati. L’ingrato parente aveva però poi preso altre strade e l’abitazione fu data in affitto. L’agente immobiliare che me lo propose era scettica in ragione della breve e incerta durata della mia permanenza, ma quando le spiegai che, andato via io sarebbe arrivato sicuramente a rimpiazzarmi qualche altro collega, e così via ad infinitum, intuì la lucrosa opportunità e convinse il notaio ad accogliermi nella sua bomboniera. La nebbia che calava all’imbrunire, densa come ovatta, avvolgeva chiunque si trovasse a camminare sotto i portici delle vie del centro città, trasformando ogni spostamento in un avventuroso percorso esposto al rischio di collisione. In realtà ero stato assunto l’anno precedente, ma non è che pochi mesi di esperienza trasformino un neoassunto in un impiegato provetto. Fui infatti subito affiancato a un giovane collega che mi doveva istruire sul lavoro dell’ufficio portafoglio. Come prima cosa, il giovanotto, ringalluzzito da un sì appagante compito, volle iniziarmi ai segreti dell’arte sua, illustrandomi la differenza fra la “tratta” e la “cambiale”.
- Cioè? - feci io, mentre pensavo: vediamo questo dove vuole andare a parare.
- Beh, guarda qui: le cambiali sono queste, si acquistano in tabaccheria, prestampate su moduli del Poligrafico dello Stato e riportano la scritta “cambiale”; la “cambiale-tratta”, invece, è compilata su moduli personalizzati delle varie aziende, vedi? E qui c’è scritto invece “cambiale-tratta”.
Già pregustando la mia sadica rivalsa, incalzai allora l’ambizioso istruttore, tendendogli un perfido tranello.
- Beh, ma quindi le differenze fra le due sono soltanto a livello grafico, oppure cambia qualcosa anche sotto il profilo del rischio?
- Eh, no, infatti stavo per arrivarci: la cosa più importante è proprio questa.
E inizia così a inerpicarsi lungo una scivolosissima scala a doppia elica, incespicando a ogni gradino. Di fronte alle mie insistite obiezioni, a un bel momento all’incauto docente non rimane che arrendersi e chiamare in soccorso la capo ufficio.
- Grazia, scusa, puoi venire tu per favore a spiegare ad Aurelio la differenza di rischio fra le cambiali?
Alla fine, fummo io e Grazia a chiarire le idee al giovane di bottega, onusto della sua fresca laurea in economia e commercio, ma ancora poco avvezzo al lavoro vero.
In banca ci sentiamo tutti un po’ James Bond: il rischio è il nostro mestiere. Veniamo allevati fin da piccoli a valutare la rischiosità di ogni operazione, in base alle sue caratteristiche. Nell’azienda che professionalmente mi ha dato i natali, all’epoca la rischiosità dei titoli di portafoglio si misurava in NCAR. I “pagherò” e le tratte non accettate avevano NCAR 255, mentre per le tratte accettate l’NCAR saliva a 260. La rischiosità così espressa era inversamente proporzionale al numero: più si saliva, più diminuiva il rischio. Tant’è che al conto corrente era assegnata NCAR 001. Al mio improvvisato maestro era proprio questo meccanismo che non era ben chiaro. Soprattutto, il giovane non aveva davvero capito in cosa consistesse la differenza fra le due tipologie di rischio, che diminuiva al moltiplicarsi delle firme presenti sul titolo di credito. La morale che ho tratto da questa precoce esperienza è che, prima di dare lezioni, è meglio essere sicuri di aver capito sul serio quel che si vuole spiegare agli altri.
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