La ”segregazione dei compiti”, tanto cara a chi oggidì, pur non sapendo lavorare sul serio, perché non ne ha mai avuto la possibilità, pretende di organizzare il lavoro altrui, in realtà era già praticata, in banca, fin dagli albori. Quando bisognava eseguire un’operazione (dal semplice prelievo, alla quindicinale sottoscrizione dell’emissione BOT, al bonifico estero in renminbi con copertura tramite terza banca, “il Servizio” compilava l’apposito modulo, un terminalista lo registrava nel sistema contabile della banca, per le operazioni dell’Estero, più complesse e irte di rischiosi ostacoli c’era anche un preventivo controllo sulla corretta compilazione del modulo da parte del Capo Ufficio, il cassiere pagava o introitava quanto previsto, sulla base dei “mandati” (verdi) e delle “reversali” (gialle) oppure consegnava gli assegni circolari e i carnet e il “quadrista”, a fine giornata, ma anche più volte al giorno, nelle filiali di maggiori dimensioni, dove si macinavano numeri importanti, tirava le somme e verificava che a chi aveva contabilizzato nun je se fossero intorcinate le dita… La registrazione di talune operazioni comportava delle segnalazioni immediate (“valuta da verificare”, per esempio) sottoposte al quotidiano controllo del Capo Contabile, oppure la produzione di liste di controllo con diversa cadenza (giornaliera, settimanale, quindicinale, mensile, trimestrale), che venivano tempo per tempo spuntate. Vi era poi l’Addetto ai Controlli, che faceva le sue verifiche e l’Ispettorato, che periodicamente interveniva in ciascuna filiale per correggere le errate applicazioni delle regole della casa. Le valute estere erano negoziate dall’Operatore in Cambi o dai Funzionari abilitati, che compilavano gli “interinali” (bianco e rosa), da inoltrare al Servizio Posizioni della filiale per la quadratura della posizione in cambi (quel mod. 829 da cui, il giorno successivo, emergevano le inevitabili inversioni in cui si incorreva contabilizzando gli arbitraggi fra valute).
La gestione del magazzino stampati era tutt’altro che una banale attività di rimessaggio. I moduli erano la componente irrinunciabile del lavoro di ciascuno, che ne conosceva spesso a memoria il numero (per praticità) e le modalità di compilazione (anche queste tutt’altro che banali, dato che servivano a movimentare quattrini). Mantenerlo in ordine e ben rifornito era di vitale importanza per il corretto funzionamento della filiale. Nessun collega dell’ufficio estero sarebbe riuscito a contabilizzare un bonifico, in mancanza del mod. 2300, che incorporava la summa delle competenze necessarie per lavorare in quel comparto. Per non parlare della gestione dei titoli, con quelle titillanti causali operative, necessarie per la registrazione informatica, sovente impronunciabili e di certo non memorizzabili (TEDIE, TUDIE, TPCINAV, TDSER…). E chi mai sarebbe riuscito a contabilizzare un semplice bonifico Italia, prima che la tecnologia riportasse su monitor la maschera dell’NBSIA con tutti i suoi campi e le sue particolarità, senza il modulo 1203? Chi mai sarebbe riuscito ad aprire un conto corrente (RCC, PKCC…) senza il mod. 1292a?
Ai moduli di uso più comune venivano attribuiti anche dei vezzosi nomignoli, variabili col variare della latitudine. C’erano le “lingue di cane” (mod. 1308), i “ciliegini” per contabilizzare gli “avere economico” e i “datterini”, che andando a intaccare il conto economico della filiale richiedevano il prestigioso visto del D. Insomma, pur senza andare a scomodare i moderni consulenti d’impresa, onusti dei loro master in business administration la banca se l’è cavata benissimo per circa un secolo. Poi sono arrivati loro, ed è cambiato tutto.
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