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mercoledì 10 novembre 2021

Alla ricerca del welfare (pubblico) perduto

In queste ultime settimane ho letto un paio di notizie nella intranet aziendale della banca per cui lavoro che mi paiono ottimi spunti di riflessione per un ragionamento sul ruolo dello Stato e degli enti pubblici territoriali nella gestione dei servizi sociali e del welfare in generale. La prima è di dominio pubblico e riguarda un contributo di 1,5 milioni di euro erogato dalla banca alla Caritas Italiana per lo sviluppo di progetti per la cura delle persone anziane, con l'obiettivo di ridurre l'istituzionalizzazione dei soggetti più fragili e attivare reti virtuose di solidarietà e di prossimità. Consegna a domicilio di generi di prima necessità, formazione e supporto dei caregiver, assistenza sanitaria domiciliare allo scopo di dare una risposta concreta alla crescita delle disuguaglianze in un contesto di crisi economica e sociale sono soltanto alcune delle attività ricomprese in questi progetti. La seconda notizia non mi pare sia stata ancora divulgata ufficialmente soltanto perché si tratta di un progetto pilota propedeutico al successivo sviluppo di un programma di servizi destinato ai dipendenti del gruppo di cui la banca fa parte (in Italia dovremmo essere attorno ai 70 mila dipendenti, quindi un bacino di utenza piuttosto significativo). Il tema è sempre lo stesso: supporto socio-assistenziale ai caregiver (ricordo che viene così definito il familiare che si prende cura, assiste e supporta un proprio congiunto anziano nei momenti di malattia e difficoltà). Una centrale operativa raggiungibile telefonicamente farà da tramite con un network di strutture sanitarie convenzionate, fornirà consulenza e supporto, per il tramite di personale specializzato (psicologi, infermieri professionali, assistenti sociali), per un'analisi dei bisogni e la successiva stesura di un progetto di assistenza individuale; ma fornirà anche informazioni sulle strutture socioassistenziali del territorio, nonché una "Guida Generale" contenente tutti i vari passaggi burocratici, amministrativi e normativi che regolamentano la posizione degli autosufficienti e non autosufficienti. Con riferimento a quest'ultimo punto so per recente esperienza nell'accudimento di una madre anziana e bisognevole di assistenza, quanto sia complicato orientarsi nel dedalo di servizi (che pure esistono, ma sono privi di coordinamento), quanto sia impegnativo far fronte agli adempimenti burocratici necessari per la gestione di un anziano non più autosufficiente, e mi sono chiesto spesso perché mai non esista un unico punto di riferimento, a livello comunale, in grado di supportare il cittadino che si trovi ad affrontare una simile sfida. Chi si trova investito del ruolo di caregiver viene rimbalzato come in un flipper tra medico di famiglia, assistenti sociali, INPS, Tribunale, case di riposo, e anche soltanto riuscire ad avere le informazioni necessarie a impostare il percorso è un'impresa defatigante. Eppure questa attività di coordinamento e supporto rientra pienamente nelle attribuzioni dell'ente pubblico, del Comune, nel caso specifico. E una superiore funzione di organizzazione dev'essere senz'altro riferita ai competenti organi statali. Invece assistiamo a un fiorire di singole, anche meritevoli ma scollegate, iniziative, con un dispendio di energie e risorse sia in fase di erogazione che da parte degli utenti, evitabile ricorrendo a un accorto intervento di coordinamento. Il terzo settore, il volontariato, dovrebbero avere una funzione sussidiaria e complementare, così come le strutture private e i datori di lavoro. Invece, sempre più spesso e in misura più massiccia, viene demandato all'esterno quanto l'Ente Pubblico non è più in grado di fare (e non sempre per mancanza di quattrini). Assistiamo da tempo a un progressivo svilimento dell'intervento pubblico in campo socio-assistenziale, cui deve supplire il volontariato e di cui per altri versi approfitta invece l'iniziativa privata, consapevole dei lucrosi guadagni che ne possono derivare: le residenze per anziani private vengono costruite rapidamente e le loro rette costano mediamente un 30% in più rispetto alle strutture pubbliche. Ma offrono un servizio sempre più necessario e di conseguenza non hanno grosse difficoltà a trovare clienti. Il bisogno di servizi c'è e se l'offerta pubblica latita, qualche datore di lavoro più lungimirante e avveduto interviene per supplire alle mancanze della mano pubblica, organizzandosi al meglio per venire incontro ai propri dipendenti. Però tutto ciò rappresenta un'anomalia, è l'abdicazione dello Stato, anche nelle sue articolazioni territoriali, alla propria funzione politica e merita un'approfondita riflessione. Dobbiamo interrogarci tutti su quello che vogliamo che sia il ruolo degli enti pubblici in questo ambito determinante, considerato che l'età media della popolazione è in stabile aumento e la domanda di servizi socio-assistenziali è destinata ad accrescersi. Intervenire si può, al solito non è un problema di risorse, che ci sono, ma di come vengono spese, anche a livello locale. C'è chi preferisce sostenere complessi bandistici da esibire alla sagra paesana in un tripudio di folclore, oppure elargire contributi a società sportive ed associazioni che ricambieranno la generosità con l'appoggio elettorale non appena se ne presenterà l'occasione. Sarebbe invece il caso di ripensare in maniera complessiva l'intervento dell'ente locale in ottica socio-assistenziale, a supporto delle fasce più fragili e bisognose della popolazione, con interventi concreti e un'azione di coordinamento di cui si sente sempre più la necessità. 

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