(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

venerdì 31 marzo 2023

TO2023 - Prologo

Torino è uno dei miei luoghi dell'anima. Si può dire che sia il primo, almeno in ordine cronologico, dato che è lì che sono venuto al mondo. I miei vi si erano trasferiti in cerca di fortuna, partendo da una valle Friulana tanto ricca di aria salubre, quanto avara di opportunità. Già il nonno Bepi, padre di mio padre, al termine della Prima guerra andò a fare il vigile urbano a Milano. Conservo ancora, recuperati da mio padre, alcuni dei manuali e dei regolamenti che il nonno fu chiamato a far rispettare nella grande città. Sfogliandone uno ho scoperto che i primi veicoli a motore agli inizi del Novecento anche in Italia circolavano a sinistra. Il nonno Tone, invece, per pagare gli uomini che gli avevano costruito la casa partì per la campagna d'Etiopia. Gente di montagna, costretta a esplorare il mondo per tentare di costruirsi un futuro. Così fecero anche i miei genitori, assieme a molti altri loro compaesani. Si iniziava fin da piccoli, accompagnando a piedi mamme e zie che trascinavano carretti carichi di cucchiai, mestoli, pesta sale e ogni altro oggetto che l'abilità artigiana dei loro uomini sapeva ottenere lavorando il legno. Quella merce veniva spesso barattata con farina da riportare a casa, quando era ceduta ai contadini della pianura. Dai signori di città, invece, nelle fiere e nei mercati, si otteneva denaro utile a saldare i debiti contratti per sopravvivere. Mio padre frequentò a Sabaudia la Scuola Sottufficiali dell'Esercito, come carrista, ma si rese conto ben presto che la carriera militare non faceva al caso suo. Si trasferì allora a Torino, dove sperimentò la catena di montaggio. Ma per un uomo libero e indipendente qual era anche la fabbrica non era il posto giusto per lui. Mise a frutto allora la patente ottenuta nell'esercito e iniziò a guidare di tutto. Autobus, tram, tentò perfino di ottenere una licenza da tassista, ma gli andò male. Così si reinventò camionista e acquistò il primo Lupetto. Mia madre iniziò ad andare "a servizio" a Milano presso famiglie benestanti, poi trovò impiego in Svizzera in una filatura e infine si trasferì anche lei a Torino. Divenne portinaia al 141 di via Nizza, la lunga arteria che corre parallela ai binari della ferrovia e da Porta Nuova arriva fino alle Molinette, l'ospedale dove mi partorì. Aveva saputo da un'amica, una delle tante compaesane della diaspora piemontese, che in via Nizza era in costruzione un nuovo palazzo e si presentò in cantiere a colloquio con il proprietario, candidandosi per la portineria. Divenne così "la prima portinaia" dello stabile, figura mitica di cui ancora, a distanza di decenni, si serba memoria e si citano le gesta con reverenziale timore. Nina ti te ricordi, canta Gualtiero Bertelli in un brano struggente, sie ani a far i morosi, a strenzerla franco su franco... Anche i miei genitori dopo lunghe titubanze dovute a ragioni economiche finalmente convolarono a nozze. Era il 1961 e impazzavano i festeggiamenti per il Centenario dell'Unità d'Italia. Immagino che il più titubante fra i due fosse Germano, per via di un aneddoto che citava mia madre. A un amico che le chiedeva aggiornamenti sull'evoluzione del fidanzamento (alora, la fasone chesta polenta, sì o no?) Gilda dovette rispondere sconsolata: a n'i n'è, Marco, farina! Per venire al mondo dovetti attendere altri cinque anni, dato che l'ingegnere incontrato nel cantiere di via Nizza era stato piuttosto ultimativo con mia madre quando le aveva chiesto: non avrà mica intenzione di avere subito un figlio, vero? La Torino del boom economico fu l'eldorado anche per i miei genitori: la portineria e i ricordi di quegli anni formidabili sono rimasti una presenza costante e malinconica. Gilda, in particolare, si era subito pentita del trasferimento in Friuli, un rientro deciso nel 1970 che non digerì mai, rimpiangendo a lungo, malgrado tutto, il clima elegante del capoluogo sabaudo. Sono stati i ripetuti i richiami di mia madre ai bei tempi del Piemonte a spingermi a capire le ragioni di quell'abbandono che, almeno da parte sua, non sembrava essere stato molto convinto. Se gliene chiedevo conto, tirava in ballo l'inquinamento, che ha suo dire mi faceva ammalare di continuo (anche a questo, forse, sono dovute le mie prolungate trasferte a Fanna, all'altro capo della pianura padana, ospite della zia Maria). Non mi è mai sembrato un motivo sufficiente per cambiare vita e abbandonare un ambiente in cui la giovane famiglia si era inserita con discreto successo. La rete di amicizie era solida ed estesa, le occasioni di lavoro migliori; pur alloggiando in portineria, i miei erano proprietari di un bell'appartamento al Nichelino. Ci doveva essere dell'altro. Mi sono alla fine convinto che il '68 prima e l'autunno caldo poi abbiano giocato un ruolo determinante nel disorientare mia madre, già di suo particolarmente apprensiva. Le manifestazioni, gli scioperi, i cortei degli operai che ho visto di recente in immagini di repertorio inserite in un bel documentario Rai dove si descrive l'evoluzione del movimento di Lotta Continua, e poi anche la strage di piazza Fontana e tutto quello che comportò la strategia della tensione in quegli anni complicati devono avere spaventato oltremodo mia madre, risolvendola ad abbandonare il disordine della metropoli per una provincia che si riteneva più tranquilla e sicura. Ora che lei non c'è più e ho ripreso lentamente a viaggiare, il ritorno a Torino assume ancora di più il senso del pellegrinaggio. Gli amici di vecchia data un po' alla volta si sono quasi tutti spenti o trasferiti, quindi l'accoglienza non sarà più come quella di un tempo, quando ogni viaggio a Torino era un ritorno a casa, ospite nel tepore di stanze amiche, fra sorrisi, abbracci e rievocazioni che accompagnavano ogni giornata. Sono rimasti pochi i riferimenti sicuri a cui appoggiarsi. Persiste il fascino discreto della toponomastica, ancora oggi capace di tessere una mappa dei ricordi ricca di emozioni.

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