(dove il viaggio non segue soltanto un itinerario terrestre
e le note vengono aggiornate di quando in quando)

venerdì 4 ottobre 2024

I "P.P. Boys"

Quando sulla parrocchia di S. Pietro Apostolo regnavano i frati francescani, l’oratorio brulicava di attività e di ragazzini. Padre Placido era un predicatore d’altri tempi, aveva occhi penetranti e una solida dialettica. Fu lui, durante una lezione di religione alle medie a spiegarci che cosa significasse la scritta “D.O.M.”, che compare sulla facciata di molte chiese. Secondo la versione di Placido, quell’acronimo significava: Done, omini, maridève! Quando agitava le braccia nella foga oratoria le ampie maniche del saio disegnavano nell’aria una coreografia degna delle migliori accademie. Il vulcanico fraticello aveva scoperto che fra i suoi giovani discepoli ve n’erano alcuni che avevano imparato, chi più, chi meno, a suonare uno strumento musicale, e un bel dì propose a quegli scapestrati di accompagnare la messa dei ragazzi della domenica. Individuati i componenti della band, ci distribuì alcuni spartiti (che si sarebbero moltiplicati, nel tempo e che tuttora conservo nei miei archivi), lasciandoci libera scelta nella stesura del programma (fatte salve le esigenze liturgiche). La formazione, oltre a me, comprendeva: Paolo, alla chitarra acustica, suo fratello Andrea alla batteria e alle tastiere Valter, che non è più fra noi. Iniziammo a prepararci e, una volta raggiunto un livello accettabile di amalgama, per alcune domeniche l’aura solenne della “chiesa dei frati” fu dissacrata da inedite sonorità, con grande meraviglia degli astanti, che dimostrarono tuttavia di apprezzare oltremodo la novità. Il predicatore sapeva il fatto suo.

Tu sês la mê Vite, altri ben no ‘nd ài;
tu tu sês la Strade, tu la Veretât.
Su la tô Peraule jo ciaminarai
fin a l’ultime zornade, fin ch’o podarai;
no varai mai pôre, jo, s’o sarai cun te:
ti sconzuri, reste cun me!

Quando ho scorto il banchetto di Glesie Furlane, all’uscita di un incontro a cui ho partecipato di recente, mi ci sono fiondato, scansando l’assalto di altri curiosi come me, per accaparrarmi qualche volume. Tra questi, mi aveva colpito un libriccino, una sorta di breviario dalle pagine di carta velina e la copertina telata di un sobrio blu scuro, che sotto all’intestazione Friûl – Tiere dal Patriarcjât di Aquilee” reca il titolo Hosānna - Cjants e preieris dal popul Furlan. Nel breviario sono riportati testi liturgici, canti e preghiere in italiano, latino, friulano e sloveno, nonché brevi spartiti, alcuni scritti in notazione pneumatica (che, prima o poi, dovrò imparare a decifrare). I versi riportati più sopra sono la traduzione in marilenghe di uno dei brani che componeva il repertorio di quella banda di scapestrati, il cui titolo tralascio di ricordare, perché chi lo ha cantato non faticherà a riconoscerlo.
E così, ancora una volta, tout se tient.

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